Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 03/01/2015
Anche quando la
Casa Bianca pareva raggiungibile, quasi a un passo, non cedette mai alla
lusinga della corsa alla nomination: neppure nel 1988, quando tutti lo
pronosticavano vincitore e lui lasciò campo libero al mediocre, e sonoramente battuto,
Michael Dukakis, altro ‘etnico’, origine greca; o nel 1992, quando non sfidò
l’ambizioso governatore d’uno Stato minore, l’Arkansas, Bill Clinton. Negli
Anni Novanta, poi, rifiutò un posto prestigioso e ‘a vita’ alla Corte Suprema.
Le sue
riluttanze gli valsero l’attributo di ‘Amleto dell’Hudson’. Ma l’indecisione
nasceva, forse, dalla consapevolezza di essere esposto
all’ineludibile stereotipo italo-americano, il mafioso. Anni dopo, raccontava: "Quando
non mi presentai nel 1992 si trovarono due giustificazioni: che ero legato alla
mafia o che avevo il cancro. Nessuno disse che avevo un’amante bionda di 28 anni".
La corsa alla
Casa Bianca l’avrebbe costretto a un’esposizione mediatica ossessiva e
ininterrotta, lui che diceva di non credere alla mafia e che solo l’anno scorso
aveva accettato di vedere ‘Il Padrino’: nel 1972, quando uscì
il film di Francis Ford Coppola, rispedì al mittente l’invito dell’allora sindaco
John Lindsay; né lesse mai l’omonimo romanzo di Mario Puzo.
Ora che se n’è
andato, il coro di elogi per Mario Cuomo è unanime: il presidente Obama lo ricorda
come “il campione dei valori progressisti”, la “voce
risoluta per la tolleranza, l'inclusione, l'equità, la dignità e l'opportunità”; e il sindaco De Blasio ordina bandiere a
mezz’asta per un mese e dice “Abbiamo perso un gigante …, un uomo di
principi incrollabili e dalla compassione senza eguali”.
Primo italo-americano eletto governatore dello Stato di New York, Cuomo
era nato nel retrobottega della piccola "groceria", drogheria, aperta
nel Queens dai genitori d’origine campana, Andrea e Immacolata, due emigrati
analfabeti. Ed è morto a Manhattan il 1°
gennaio, a 82 anni, poco dopo che il figlio Andrew aveva prestato giuramento per
il suo secondo mandato da governatore.
Cuomo è stato stroncato da un’insufficienza
cardiaca nella sua abitazione: a novembre, era stato ricoverato, ma pareva
stare meglio ed era tornato a casa. Dal 1983 al ‘94, fu tre volte governatore:
popolare, specie grazie alle politiche di riduzione delle imposte e sostegno della
scuola pubblica, si batté sempre contro la pena di morte –il che gli costò il
posto nel ’94, battuto da George Pataki-. Cattolico e ‘liberal’, era pro-aborto,
posizione che gli valse le severe critiche della Chiesa cattolica.
Studi in legge, una passione per la
dialettica, era maestro d’eloquenza, un poeta del valori sociali: nel 1984,
incantò la convention con un discorso sulle contraddizioni dell’America
reaganiana. Ma sapeva pure tirare fuori le unghie. Nessuno, tranne Nelson
Rockfeller, il miliardario repubblicano, ha mai governato lo Stato di New York
più a lungo di lui.
A New York, i Cuomo sono una dinastia,
come nell’Unione i Kennedy, i Bush, magari i Clinton, e hanno la loro matrona,
Matilda Raffa, che diede a Mario cinque figli. Andrew, 58 anni, già sposato con
una Kennedy –Kerry, settima figlia di Bob Kennedy-, ministro dell’edilizia nel Clinton
2, poi procuratore generale di New York e, dal 2010, governatore dello Stato,
potrebbe scendere in lizza per la Casa Bianca nel 2020.
Su di lui, pesa di meno lo stereotipo
italo-americano. Mario l’ha sempre combattuto, stigmatizzando pellicole e serie
tv, come ‘I Soprano’, che suggeriscono l’equazione ‘italiano = mafioso’;
arrivando ad affermare che la mafia “è un sacco di palle"
-1985 dopo l’assassinio del boss Paul Castellano fuori da una steakhouse di
Midtown-.
Di lui, voleva che la gente dicesse: “Era una persona
onesta”. L’epitaffio sulla tomba se l’era già scelto: “Uno che ci ha provato”.
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