Scritto per La Presse lo 01/12/2015
Il presidente afghano Ashraf Ghani viene in Italia a chiedere al governo di portare avanti la missione militare ed a sollecitare un impegno per la ricostruzione del Paese: “"Chiedo anche il coinvolgimento del mondo degli affari”, dice. E cita i settori dell'energia e delle infrastrutture come opportunità d'investimento nel Paese per progetti che utilizzino i fondi della cooperazione internazionale.
Negli incontri istituzionali al Quirinale e a Palazzo Chigi, Ghani, il primo presidente afghano da tempo immemorabile a succedere al suo predecessore in modo pacifico e democratico, esprime la sua gratitudine per quanto l'Italia ha fatto e sta facendo in Afghanistan a rende omaggio al tributo pagato dall'Italia in termini di vite umane per costruire "un Paese sicuro" –obiettivo, per altro, non ancora raggiunto-.
Poi, il presidente incontra, in un hotel del centro di Roma, per iniziativa dello European Council on Foreign Relations, esponenti politici, presidenti di think tanks, esperti, giornalisti. Ci sono ad ascoltarlo, e a fargli domande, due ex ministri degli esteri, Emma Bonino, che in Afghanistan ha lasciato un indelebile ricordo con le sue missioni europee e internazionali, presidente dell’Ecfr, e Franco Frattini, presidente della Società italiana per l’Organizzazione internazionale; il presidente della Commissione Difesa della Camera Nicola La Torre: l’onorevole Andrea Manciulli, presidente della delegazione italiana all’Assemblea parlamentare della Nato; l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, presidente dell’Istituto Affari Internazionali; l’ex vice-ministro degli Esteri Lapo Pistelli, oggi ‘ministro degli Esteri’ dell’Eni, e molti altri.
Ghani racconta un Paese che, dopo il ritiro dell’Isaf, la forza della Nato, alla fine del 2014, ha conosciuto un vero e proprio tracollo dell'economia. Il presidente spiega che il ritiro dell'Isaf, che è stata sostituita dalla molto più ridotta Resolute Support, cui pure l'Italia dà un contributo, ha significato la partenza dall'Afghanistan di circa 600 mila persone: militari, ma anche e soprattutto 'contractors' civili, che contribuivano a sostenere la domanda in una nazione di circa 25 milioni di abitanti. Di conseguenza, c'è stato un tracollo nei trasporti, nei servizi, nell'agricoltura e un aumento della disoccupazione drammatico.
Cui si sommano i problemi endemici di un Paese dove vi sono collusioni tra Amministrazione pubblica e criminalità, dove c’è corruzione, dove i traffici di droga s’intersecano con quelli di esseri umani, “un Paese estremamente ricco abitato da gente estremamente povera”.
E Ghani racconta pure un Paese non ancora sicuro, in una regione –dice- dove i talebani stanno cedendo il passo al sedicente Stato islamico e con situazioni di conflitto, o almeno contrasto, irrisolte con Paesi vicini. Il terrorismo –avverte il presidente- non è un problema che si risolverà a breve termine e non può essere combattuto solo con la forza. Vale per l’Afghanistan, ma non solo.
Quando finisce l’incontro, l’area tutto intorno all’hotel da dove Ghani sta per uscire è letteralmente paralizzata: traffico in tilt nel centro di Roma, la sicurezza del presidente afghano è un affare di Stato –impegnativo ed aeatorio- non solo a Kabul.
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