Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/12/2015
Le decisioni si prendono all'unanimità, ma si attuano in ordine sparso.
Il percorso della Siria verso la tregua e il negoziato sulla transizione al
‘dopo Assad’ non sfugge a questa prassi: il Consiglio di Sicurezza dell’Onu non
aveva ancora adottato la risoluzione
sul processo di pace, venerdì sera, con l'avvio delle trattative a gennaio, che
già s’erano manifestati distinguo e dissensi.
Senza trascurare le
inimicizie di vecchia o nuova data che dilaniano l’intreccio delle coalizioni -
troppe – contro il sedicente Stato islamico: teocrazie e regimi sciiti contro
monarchie sunnite, russi contro turchi, siriani ‘lealisti’ contro siriani
‘ribelli’. Ruggini che non vanno via, anche se le intese sulla Siria vogliono dare
coesione ed efficacia alla lotta contro l’autoproclamato califfo. Ma molti dei
protagonisti hanno una propria agenda regionale o globale, in cui il contrasto
agli jihadisti non è la priorità.
La risoluzione dell’Onu
prospetta un cessate-il-fuoco in Siria non appena i negoziatori del regime e dell'opposizione
abbiano compiuto i primi passi verso una transizione politica, sotto il
controllo della comunità internazionale. Ma le fazioni dell’opposizione
siriana, che pure hanno appena scelto i loro rappresentanti al tavolo
negoziale, hanno già cominciato a dire che il primo gennaio è troppo presto e
che loro non saranno pronti. E Mosca e Washington hanno idee molto diverse sui
tempi della transizione: un mese o due, per il segretario di Stato Usa Kerry, “non
più di un anno o un anno e mezzo”, per il ministro degli Esteri russo Lavrov.
Il presidente Obama,
nella conferenza stampa di fine anno, ha reclamato l'uscita di scena di Assad, che
“ha perso legittimità agli occhi di gran parte del suo Paese”, "per
fermare la carneficina e consentire a tutte le fazioni coinvolte di andare
avanti in modo non settario". Il presidente Putin insiste che i siriani
devono scegliere il loro leader dopo che siano stati "eliminati" i
terroristi, ma aggiunge –conciliante?- che lui lavora facilmente sia con Assad
che con Obama.
Il
fatto nuovo, emerso nelle ultime ore, sono le forti tensioni che sarebbero
scoppiate tra Iran e Giordania nel ‘Gruppo di Vienna’, riunitosi venerdì, a New
York, poco prima del Consiglio di Sicurezza dell’Onu: c’erano i ministri degli
esteri di 17 Paesi, fra cui l’Italia, impegnati a risolvere la crisi siriana.
La
Giordania, cui era stato affidato il compito di stilare una lista dei gruppi
terroristici attivi in Siria, voleva inserire nella ‘black list’ i Guardiani
della Rivoluzione iraniani, i Pasdaran, irritando molto Teheran. Dopo lo
scontro, l’adozione della lista è stata bloccata e il compito di stilarla e presentarla
all’Onu è passato a un gruppo di lavoro composto da Russia, Iran, Turchia, Oman,
Giordania, Egitto e Francia. L’idea è che i terroristi non debbano partecipare
al negoziato sul futuro della Siria; solo che il regime di Damasco tende a
definire “terroristi” tutti i suoi oppositori armati.
Il
gruppo di lavoro avrà il suo daffare: la presenza di Russia e Turchia promette
scintille, visto che i leader dei due Paesi non la smettono di provocarsi, dopo
l’abbattimento, il 24 novembre, da parte della caccia turca d’un aereo russo, che
avrebbe violato lo spazio aereo turco. Ieri, Ankara ha detto di non prendere
sul serio le ultime dichiarazioni del presidente Putin: “E’ finita l’epoca del
Kgb”, il servizio segreto sovietico dalle cui fila il presidente russo
proviene. La replica russa è stata tra il minaccioso e lo iettatorio: “La leadership
turca non è eterna”. E Lavrov insiste per la chiusura della frontiera tra Siria
e Turchia.
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