Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/12/2015
Dopo quasi quattro anni di traccheggi diplomatici e almeno
250 mila vittime, si vanno ora creando –pare vero- le condizioni per un
efficace intervento della comunità internazionale contro il sedicente Stato
islamico e per una transizione politica in Siria, oltre che per una
normalizzazione della situazione in Libia. Più efficace, se non più coerente,
perché restano contraddizioni -e tensioni- interne alle coalizioni
anti-Califfo.
Il giorno dopo la messa a punto all’Onu della risoluzione
contro chi aiuta le milizie jihadiste e fa affari con l’Is, e la firma in
Marocco di un accordo, sbilenco, ma comunque raggiunto, per un governo di unità
nazionale libico, a New York si riunisce un vertice sulla Siria ‘formato
Vienna’: ci sono cioè i Paesi e le Istituzioni internazionali che, di solito, s’incontrano
su questo tema nella capitale austriaca.
Apre il segretario generale delle Nazioni Unite Ban Ki-moon,
presiede il segretario di Stato Usa Kerry, ci sono i ministri russo Lavrov e
italiano Gentiloni, la Mogherini per l’Ue e Staffan de Mistura, l’inviato
dell’Onu in Siria. Il preambolo induce all’ottimismo: l’opposizione siriana ha appena
raggiunto un’intesa su chi dovrà rappresentarla al tavolo delle trattative
sulla transizione al dopo Assad (ma chiede un rinvio della data d’inizio,
fissata al 1° gennaio).
Proprio la risoluzione dell’Onu, il percorso di transizione
e un cessate-il-fuoco in Siria, che consenta di concentrarsi contro quello che
dovrebbe essere il comune nemico, l’autocproclamato Califfato, sono i temi
della riunione al Palace Hotel. Kerry non la mette giù dura: “Stiamo lavorando”
per un’intesa; i russi frenano, le
consultazioni “non vanno molto bene” per l’ambasciatore all’Onu Vitaly Churkin.
A SkyTg24, Gentiloni dice che il cessate-il-fuoco sarebbe un
risultato umanitario “straordinario”, mentre il percorso di transizione
sarebbe già stato scritto a Vienna “un po' in controluce”: una prima fase di
sei mesi che deve portare a una governance unitaria. Assad resiste: “Cercare di
cacciarmi –avverte- significa solo protrarre la guerra civile”.
La prudenza di Mosca è, forse, un tentativo di mascherare il
contrasto tra lo show di Putin giovedì, contro la Turchia e Erdogan, ma pure
contro gli Usa e Obama, con minacce –“che ci provino i turchi a volare sulla
Siria”- e illazioni –“i turchi hanno abbattuto il nostro aereo solo per leccare
gli americani”-. All’origine delle tensioni, l’abbattimento, il 24 novembre, d’un
caccia.bombardiere russo ad opera di caccia turchi: ieri, è stata aperta la
scatola nera dell’Su-24, risultata danneggiata. I dati disponibili saranno noti
lunedì, ma i russi si dicono già certi che la battaglia aerea avvenne sul
territorio siriano e non turco.
Il dispositivo militare anti-Califfato, rinforzato dalla
coalizione araba suggellata in settimana a Riad, che però suscita l’ironia di
Putin, continua a martellare gli jihadisti: mercoledì, l’aviazione tedesca ha
partecipato per la prima volta ai raid, con un aereo cisterna, mentre ieri
bombardamenti russi a Raqqa e in due cittadine nella provincia di Aleppo,
el-Bab e Azaz, avrebbero fatto decine di vittime civili, secondo un’organizzazione
dell'opposizione non radicale in esilio.
Dall'inizio della campagna, il 30
settembre, i raid aerei russi avrebbero ormai fatto 1.900 vittime, un terzo
delle quali tra la popolazione inerme.
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