Scritto per il blog di Media Duemila lo 03/12/2015
‘La rete alla guerra delle notizie’: dialoghi intorno al libro di Michele Mezza ‘Giornalismi nella rete’ dopo la carneficina di Parigi del 13 novembre, in un’aula del Coris, il Dipartimento di Comunicazione e Ricerca sociale della Sapienza, a Roma. La cornice è il corso di Storia e Modelli del Giornalismo del professor Christian Ruggiero, che anima il dibattito. Il contesto è quanto sta avvenendo nel mondo dell’informazione – i media nei confronti dell’autoproclamato Califfo e dei suoi tagliagole- e della comunicazione – gli addetti stampa del sedicente Stato islamico e le loro tattiche di penetrazione, quando non di sgozzamento, delle opinioni pubbliche interne, cioè l’Islam ‘double face’ sunnita e sciita, e internazionali-. Il tutto in vista di un ciclo di seminari su ‘Media e Terrorismo’ nelle aule del CoRiS dal febbraio 2016.
Ne discutono, con Mezza, giornalista e affabulatore, Rai e molto di più, autore di un libro che aspira a insegnare come ‘non essere sudditi di Facebook e Google’ – io personalmente mi astengo da Facebook, ma sono devoto a Google, oltre che a Twitter -, Antonio Nicita, docente e commissario AgCom, e Mauro Parissone, fondatore e direttore dell’Agenzia H24. Il pezzo forte è l’introduzione del professor Mario Morcellini, direttore del Dipartimento.
Il foglio degli appunti si riempie più di formule, e di domande, che di risposte: il piano della comunicazione/informazione dei terroristi e sul terrorismo s’intreccia con l’effetto della rete sull'informazione: riorganizzazione delle parole chiave; il dilemma dell’agenda – una costante: chi decide di che cosa si deve parlare? -; la coriandolizzazione dei punti di vista,; il rischio che le mutazioni dei giornalismi facciano perdere elementi costituivi della democrazia e introducano nuovi dispotismi; il pericolo che il fascino della tecnologia ci abbacini e non ci faccia più ragionare; le difficoltà dei media tradizionali di raccontare il nuovo senza esserne travolti, senza suicidarsi inseguendolo ed esaltandolo -; l’incapacità di distinguere le notizie dalle bufale; la fine –o meno, e prevale il meno- delle mediazione giornalistica; la prospettiva di pagare un prezzo eccessivo, in termini informativi, ma anche democratici, al potere dell’algoritmo; la necessità che i mediatori, cioè i giornalisti, siano professionalmente validi, non assoggettati al potere –politico, economico o tecnologico, quale che sia -, ma critici del potere…
I punti di domanda restano. Le risposte, forse, verranno dal ciclo di seminari. Se la realtà non sarà già fuggita più avanti. Ma i giornalisti del panel manifestano la certezza che il mestiere non morirà. Magari per non togliere la speranza a quei pochi degli studenti fra il pubblico che ancora pensano di farlo.
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