Intervista a Roberto Aliboni raccolta per LaPresse il 14/12/2015
Prudenza sull'ipotesi d'un'intesa in Libia per un governo di
unità nazionale e cautela sulle prospettive d'un'iniziativa d'assistenza
internazionale -a chi?; e per cosa?-: le suggerisce il professore Roberto
Aliboni, consigliere scientifico dello IAI ed uno dei massimi esperti italiani
di Libia, in questa intervista a LaPresse.
"Non credo che l'ottimismo su
un accordo per un governo di unità nazionale libico sia giustificato",
dice Aliboni. E spiega: "I 15 esponenti libici presenti a Roma rappresentavano
le parti che, come si sapeva, erano già propense a firmare e parlavano solo a
nome di quelle".
D. Davvero la presenza delle milizie jihadiste in
territorio libico può spingere all'accordo i governi di Tobruk e di Tripoli?
R.
"C'è indubbiamente una convergenza fra le parti libiche sulla necessità di
fermare" il sedicente Stato islamico, che, "a differenza di quanto
accade nel Levante, in Libia non ha alcun insediamento politico preesistente
(qui non esiste uno scontro tra sunniti e sciiti)". Ma "questo non mi
sembra sufficiente a convincere le parti in presenza a unirsi per combattere
l'Is".
D. Quali sono gli ostacoli che persistono?
R. "Gli ostacoli
restano quelli già noti: il ruolo del generale Haftar -un controverso
comandante militare di Tobruk, già ufficiale dell'esercito di Gheddafi, poi a
lungo esule negli Stati Uniti, quindi di ritorno in Libia dopo l'insurrezione,
ndr-, per quelli di Tripoli; le condizioni politiche della transizione prevista
dall'accordo dell'Onu, che non soddisfano gli islamisti e le milizie armate di
Tripoli; la diffidenza di fondo di molti a Tobruk verso la galassia islamista
libica. Inoltre, in Libia, importanti milizie sono ormai al di là di ogni
schieramento e in sostanza hanno bisogno della scontro perché sopravviva il
loro potere e la loro identità".
D. Che cosa dovrebbe fare l'Onu?
R.
"L'inviato dell'Onu, il diplomatico tedesco Armin Kobler dovrebbe
rinegoziare alcuni punti dell'accordo prodotto dal suo predecessore Bernardino
Léon, se vuole che poggi su un consenso significativo e che valga qualcosa di
più del'inchiostro con cui è scritto".
D. Quale ruolo dovrebbe assumere la
comunità internazionale e l'Italia per garantire la stabilità della Libia, una
volta fatta l'intesa per il governo di unità nazionale?
R. "Molte delle
dichiarazioni fatte a Roma riguardano più la volontà comune di colpire che non
il fondamento dell'accordo che l'Onu propone. Il segretario di Stato Usa John
Kerry ha detto che è già pronto un piano di assistenza al governo di unità
nazionale libico, se questo uscirà, come si spera, dalla riunione del 16
dicembre in Marocco. Ma la mia opinione è che, se mai un governo uscirà da
quella riunione, sarà poco rappresentativo. Per cui, mi chiedo quale assistenza
stiano preparando le potenze internazionali e a chi".
"Sento dire che
l'Italia, se ci sarà un'azione comune, cui penso vorrà che partecipi pure la
Russia, sia disponibile financo a inviare truppe. Se le condizioni saranno
quelle di una dubbia rappresentatività dell'accordo eventualmente siglato in
Marocco, la prudenza a intervenire sarà d'obbligo".
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