Tutti sanno, dove quel ‘tutti’ sta pomposamente per i miei amici e i miei 25 followers, che Twitter mi piace un sacco: considero un tweet ben fatto la quintessenza della notizia d’agenzia, che, anche data la mia vicenda professionale, considero la quintessenza del giornalismo; anzi, sono convinto che un tweet ben fatto, che viene dalla fonte e che contiene un’informazione, o una valutazione, è già una notizia e non ha quindi bisogno di essere ‘rielaborato’ a notizia; anzi ancora, proprio a dirla con assoluta franchezza, non capisco le agenzie che si mettono a ‘notiziare’ i tweet, che sono già fuori e pubblici, invece di partire, eventualmente, dai tweet per costruire ‘meta notizie’ che talora sono più notizia delle notizie.
Ok, mi fermo, perché probabilmente ci state perdendo la
bussola e fra poco mandate un SOS, cioè un tweet chiedendo aiuto. E veniamo al
punto: se Derrick de Kerckhove, il mio guru di riferimento per tutto quello che
riguarda il futuro della comunicazione e, in subordine, dell’informazione,
mette in rilievo il ruolo di Twitter come strumento per rispondere in diretta
ai media tradizionali e difendere in modo efficace la ‘personal reputation’
aziendale e/o personale, non posso che essere d’accordo con lui.
Ma vado pure oltre, perché considero Twitter non solo uno
strumento di difesa e di reazione, ma, direi ancora di più, uno strumento
d’attacco e d’iniziativa: la sua brevità impone sinteticità ed efficacia
espressive e linguistiche, sfronda a zero le chiacchiere, esalta dati e
concetti, suggerisce d’essere pregnanti e densi, induce ad essere ficcanti e
ironici… Tutta roba che sta nel ‘bagaglio’ d’un Chiellini, ma ancora di più in
quello d’un Dybala: fuor di metafora, corredo da attaccanti, che va bene pure
ai difensori.
E siccome, da sempre, ma oggi più d’un tempo, ché tutto gira
più veloce, l’arrivare prima e l’occupare lo spazio dell’informazione è
essenziale per il successo della comunicazione, allora mandiamo fuori i tweet
d’attacco, invece che sfoggiare quelli di difesa: facciamoci retwittare, invece
che stare lì a ritwittare gli altri.
Sempre che abbiamo qualcosa da twittare di sensato e/o
d’importante –meglio se entrambi-. Altrimenti, stiamocene silenti e ‘non
twittanti’ nel nostro cantuccio: nel suo, Pascoli, un secolo e mezzo fa,
sentiva solo “le reste stormir del grano”; nel nostro, che è meno agreste e più
tecnologico, ci arriveranno i fruscii degli altrui cinguettii.
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