Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 31/08/2013
Nel gioco dell’oca tragico dell’attacco alla Siria, Obama è
a un tiro di dadi dalla casella d’arrivo: difficile che torni alla casella di
partenza, ora che s’è spinto tanto avanti. Il presidente s’è troppo esposto a
dire che al-Assad non resterà impunito dopo avere varcato la linea rossa del
ricorso alle armi chimiche contro il proprio popolo.
Gli ispettori dell’Onu, che dall’alba di oggi sono fuori dalla
Siria, faranno conoscere i risultati dell’inchiesta fra due settimane e,
comunque, difficilmente attribuiranno responsabilità, un po’ perché le Nazioni
Unite hanno uno spirito pilatesco e un po’ perché davvero non sanno..
Obama non può aspettare così a lungo. Gli Stati Uniti pensano
di avere le prove delle responsabilità del regime di Damasco e ieri le hanno
sciorinate. La Bbc
mostra altre immagini di un attacco shock: napalm contro una scuola –quello
degli americani in Vietnam, tanto per capirci: un’altra storia-.
Così, il presidente dice che al-Assad sfida il Mondo e
denuncia l’impotenza dell’Onu, pur cercando di non agire da solo, di mettere
insieme una coalizione internazionale. Il segretario di Stato Kerry parla di
circa 1400 vittime, oltre 400 bambini, nell’attacco del 21 agosto; bolla
al-Assad come “criminale” e “assassino”; fissa i contorni dell’azione limitata
e senza interventi sul terreno; afferma che c’è in gioco la sicurezza e la
credibilità degli Stati Uniti.
In realtà, Obama mostrerebbe una credibilità da Nobel per la Pace se non premesse il
grilletto ora: amici e nemici lo avvertono che è in gioco la sicurezza
mondiale, che c’è il rischio d’incendiare tutto un Medio Oriente già rovente,
che la soluzione da cercare è politica e non militare.
Sconfitto giovedì ai Comuni, Cameron si defila. Ma Hollande
resta in campo, determinato ad agire; l’Assemblea nazionale l’ha convocata per
mercoledì prossimo, per informarla a cose probabilmente fatte. Perché, se si
fa, bisogna farlo subito, tra ora e lunedì: poi, la finestra per l’attacco si
chiuderà. Tutto deve essere finito il 5, quando il Vertice del G20 si riunirà a
San Pietroburgo, sotto presidenza del padrone di casa Putin. Mica si può
arrivare dallo ‘zar’, ospiti suoi, con i missili ancora in volo e il fragore
dei botti che disturba l’incontro.
Sono due anni e mezzo (e decine di migliaia di vittime) che
la crisi siriana va risolta. E, a volerla leggere in positivo, questo passaggio
scabroso, l’uso dei gas e la punizione occidentale, potrebbe essere la svolta.
Subito dopo, magari proprio già a San Pietroburgo, potrebbe iniziare la ricerca
d’una soluzione condivisa tra Washington e Mosca: via il presidente e fuori
dalla stanza del bottoni pure gli inaffidabili ribelli.
Però, bisogna disinnescare il rischio di reazioni fuori
misura, iraniane o di milizie vicine all’Iran. E bisogna tenere fuori da tutto
ciò Israele, dove il barometro del timore sono le vendite di maschere anti-gas.
L’intrecciarsi di preparativi nel Mediterraneo non agevola
la diplomazia: 6 unità navali americane incrociano ora a distanza di tiro
utile; la Francia
fa salpare una fregata; la Gran Bretagna
dispiega comunque caccia ad Akrotiri, sua base cipriota. E la Russia compie un
avvicendamento “di routine” di navi da guerra nel Mediterraneo orientale,
dislocandovi unità lanciamissili e anti-sottomarini
Il regime siriano s’impegna a difendere il proprio Paese da
ogni aggressione. Le forze armate si posizionano per ridurre al minimo
l’effetto della gragnola di missili che potrebbe colpirle: gli Usa e i loro
alleati avrebbero limitato a una cinquantina i potenziali obiettivi, ma rischiano
di trovarne molti vuoti. Il che potrebbe fare comodo a tutti: il WSJ sospetta
che l’azione, decisa per “fare qualcosa”, venga deliberatamente calibrata per
“fare molto poco”. Ma, allora, perché farlo?, solo per un puntiglio -ti avevo
detto ‘niente armi chimiche’ e tu mi hai sfidato?-. ...