Scritto per Il Fatto Quotidiano del 31/08/2013
All'inizio
era un telex: la linea rossa tra Washington e Mosca –in inglese, 'hotline',
che oggi ci suona più allusivamente erotico che seriosamente drammatico-. Poi
divenne un telefono: il telefono rosso. Una linea diretta che collegava
la Casa Bianca e il Cremlino: figlia del connubio tra Guerra Fredda e terrore
dell’Olocausto nucleare, concepita
nell'ottobre del 1962 quando la crisi dei missili a Cuba portò il Mondo
sulla soglia del conflitto. Evitata la
tragedia, Kennedy e Kruscev vollero almeno migliorare le comunicazioni tra Usa
e Urss: se scontro avesse mai dovuto essere, che non lo fosse per un errore o
un’incomprensione.
E
guerra non fu, anche grazie a quella ‘hotline’. Il Mondo è oggi cambiato, i
contatti fra leader sono diretti e continui. Ma l’ansia per la crisi siriana,
che ancora una volta vede contrapporsi Washington e Mosca, conferma
l’importanza essenziale d’una comunicazione immediata .
La linea fu
usata la prima volta nel 1967, durante la Guerra dei Sei Giorni, tra Egitto e
Israele: schierate a sostegno dei fronti opposti, Usa e Urss si scambiavano
informazioni sui reciproci movimenti militari, per evitare pericolosi malintesi
con la Quinta Flotta di stanza nel Mediterraneo e unità sovietiche che
uscivano dal Mar Nero.
Ma il
cinema se n’era già impossessato, dandone interpretazioni esilaranti –il Dottor
Stranamore, con Peter Sellers- o eccezionalmente cariche di tensione -Sette
Giorni a Maggio, con Henry Fonda-. A Guerra Fredda ormai conclusa, ricomparve,
in versione film d’azione in AirForceOne, nelle mani di Harrison Ford.
La
linea più chiacchierata e meno usata del Pianeta Terra, compiva ieri 50 anni. Il
numero di volte che è stata effettivamente utilizzata è ammantato dal segreto. Krusciex,
che ne fu il padrino con Kennedy, apparentemente non la usò mai. Nel 1967, la inaugurarono
Johnson e Breznev. Carter nel 1979 alzò la cornetta per protestare contro
l’invasione dell'Afghanistan: all'altro capo del filo, c’era ancora
l’incartapecorito Breznev.
Il sistema fu
originariamente sviluppato dalla Harris Corporation: speciali cavi transatlantici
vennero posati a tempo di record sul fondo dell'Atlantico, collegando Washington
a Mosca via Londra, Copenhagen, Stoccolma e Helsinki. Un circuito radio di
riserva Washington-Tangeri-Mosca faceva da ‘back-up’ in caso di guasto. Entrambi
i percorsi erano vulnerabili a interruzioni: incidenti più che sabotaggi, come
quando un bulldozer danese tagliò il cavo vicino a Copenaghen, o un contadino finlandese
gli diede fuoco, o un tombino andò in fiamme a Baltimora, provocando un blackout.
Identici
terminali vennero installati ai due estremi, presidiati 24 ore su 24 da esperti
e da interpreti: scritti nelle rispettive lingue madri, i messaggi venivano
criptati e poi decodificati e tradotti da chi li riceveva. “Il telefono arrivò
negli Anni 70'', racconta Viktor Sudhorev, interprete del Cremlino: allora, il
sistema fu integrato da due linee di comunicazione satellitare, con due
satelliti americani Intelsat e due sovietici Molniya.
Negli
Anni 80, con Reagan e Gorbacev, arrivò l’ora dei fax ultra-veloci: così, Mosca
e Washington si scambiarono informazioni durante la Guerra del Golfo nel 1991, quando
il telefono rosso, ormai chiusa la Guerra Fredda ed esorcizzato lo spettro
dell'Olocausto nucleare, si trasformò in strumento di costruzione della fiducia
tra due nazioni abituiate a diffidare l’una dell’altra.
Conosciuta
al Pentagono con la sigla Molink, Moscow link, la linea rossa sarebbe stata usata,
secondo alcune fonti, oltre 15 volte prima del 1990. La dissoluzione dell'Urss e l'emergere degli Usa come Super-Potenza Unica hanno
di fatto tolto importanza al telefono rosso, ormai obsoleto anche
tecnologicamente.
L’importanza d’una comunicazione diretta corretta e
affidabile resta però intatta: i leader si chiamano spesso al telefono, si
vedono più volte ogni anno, comunicano sui social media; e le possibilità di
malinteso sono ridotte. Ma l’11 Settembre, le crisi regionali, momenti di
ritorno d’un clima da Guerra Fredda tra Usa e Russia stanno a ricordare che, senza una ‘hotline’, il
rischio d’una catastrofe militare globale è sempre immanente.
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