Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/08/2013
E’ il tormentone italiano di questa crisi: le basi, le diamo
o meno agli Stati Uniti ed ai loro alleati “volenterosi”, fra cui stavolta non
ci arruoliamo, se scatta la punizione contro Damasco per l’uso dei gas? Il
ministro degli esteri Emma Bonino, che ieri a Parigi tesseva le fila d’una
diplomazia della soluzione alternativa all’intervento militare, ha ripetuto,
dopo l’incontro col collega francese Laurent Fabius: “Ad oggi, le basi militari
non ce le ha chieste nessuno. I problemi si affrontano quando vengono posti''.
L’Italia condanna l’attacco al sarin in Siria, ma non
intende partecipare a un’azione militare, soprattutto se non avallata dall’Onu;
è favorevole alla ricerca di una soluzione politica ed al deferimento del
presidente al-Assad, se responsabile dell’uso dei gas, a una corte
internazionale.
Nelle ultime 72 ore, il linguaggio della Bonino, del
ministro della difesa Mauro e del premier Letta, che, dopo la visita al
contingente afghano, ama mettersi l’elmetto in testa, non è sempre stato
perfettamente consonante. Ma la linea tracciata dalla Farnesina e adottata dal
Governo è questa.
C’è la coscienza che la concessione delle basi esporrebbe di
per sé l’Italia a ritorsioni. Però, il Paese deve rispettare gli impegni
internazionali accettati, aderendo all’Alleanza atlantica. Gli Stati Uniti
possono utilizzare le basi italiane per scopi bellici su disposizione della
Nato o con intese bilaterali. E, stavolta, è improbabile che la Nato dia l’ordine, se l’Onu
non dà l’avallo, viste le riserve diffuse
fra gli alleati.
La geografia delle basi americane in Italia è complessa. Le
principali sono Camp Ederle a Vicenza ed Aviano nel Friuli, Camp Darby a
Livorno, Latina e Gaeta (Lazio), Comiso e Sigonella (Sicilia). Le installazioni
militari americane nella Penisola, citate
in documenti del Pentagono, sono decine: una dozzina per l’esercito, una
ventina per la marina, circa 16 per l’aviazione, depositi di materiali ed
armamenti. I militari statunitensi sono parecchie migliaia, l’arsenale a loro
disposizione comprenderebbe decine di ordigni nucleari.
Rispetto all’intervento in Libia nel 2011, quando l’Italia
mise a disposizione le basi e prese parte alle operazioni, l’azione contro la Siria è significativamente
diversa, notano gli esperti. Essa può infatti svolgersi senza il coinvolgimento
dell’Italia, come spiega Gianandrea Gaiani sul Sole24Ore: ecco perché l’uso delle basi non sia stato chiesto.
Se i raid saranno limitati nel tempo, con lancio di missili
da navi e aerei, potrebbero bastare mezzi americani, britannici e francesi su
portaerei o basati in Paesi limitrofi alla Siria pronti a cooperare, Turchia,
Cipro, Giordania, gli Emirati del Golfo che
sollecitano l’intervento.
Si potrebbe rinunciare alle basi avanzate, rifornendo gli
aerei in volo. Ma, a conti fatti, è probabile l’utilizzo della base britannica
di Akrotiri a Cipro e di quella americana di Suda Bay, a Creta.
Gli aeroporti italiani più vicini alla Siria, Brindisi, Gioia del Colle, Trapani, distano2000 km
circa da Damasco. Anche le due basi aeree Usa in Italia, Sigonella (UsNavy) e
Aviano (UsAf), sono lontane dall’area operativa, ma potrebbero servire come
scalo logistico per aerei, droni e mezzi.
Gli aeroporti italiani più vicini alla Siria, Brindisi, Gioia del Colle, Trapani, distano
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