Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/08/2013
All’Onu, è scontro aperto tra sostenitori ed oppositori d’un
intervento armato nel conflitto siriano: non c’è intesa su un progetto di
risoluzione britannico, che aprirebbe la strada al ricorso alla forza contro il
regime di Damasco, accusato d’una strage di civili con il sarin. Visto lo
stallo, Londra rinuncia a una riunione del Consiglio di Sicurezza.
Meno contrasti, invece, alla Nato, dove il Consiglio
atlantico trova l’intesa su una formula secondo cui l’attacco chimico del 21
agosto non può “restare senza risposta”: centinaia le vittime nei pressi di
Damasco. Secondo fonti dell’opposizione, l’azione sarebbe stata condotta dai
lealisti al regime e ordinata da Maher, fratello del presidente al-Assad
–altri, però, lo danno per morto-.
I tempi di un intervento, che parevano imminenti –l’azione
potrebbe partire già oggi-, paiono un po’ rallentati dopo la giornata di ieri.
Il segretario generale dell’Onu Ban Ki-moon dice che gli esperti, che hanno
fatto un secondo sopralluogo su un sito attaccato, hanno ancora bisogno di
quattro giorni per concludere la loro missione, prima di compiere le analisi e
presentare il rapporto.
C’è chi rileva l’opportunità di attendere il Vertice del G20
in Russia la prossima settimana. L’Assemblea nazionale francese è stata convocata
il 5 settembre; i Comuni s’esprimeranno oggi; e il Congresso Usa s’aspetta
d’essere consultato.
Washington, Londra e Parigi sono già convinte della
responsabilità del presidente al-Assad e dicono d’essere pronte ad agire, non
per rovesciare il presidente, ma per dissuaderlo dal fare ancora ricorso ai gas
nel conflitto che infuria da due anni. Australia, Turchia e alcuni altri Paesi
condividono tale approccio. La tensione internazionale induce al ribasso le
borse e spinge in alto i prezzi del petrolio, ai massimi da due anni, sopra i
112 dollari al barile.
L’Europa è divisa. La cancelliera tedesca Merkel sollecita
una soluzione politica. L’Italia pensa che la decisione spetti all’Onu
–ministro Bonino- e non vede spazi per una partecipazione diretta all’azione
militare –ministro Mauro-. Se vi fosse l’avallo del Consiglio di Sicurezza,
dice il ministro degli Esteri, il Parlamento ne discuterà: “L’orrore degli
attacchi non riduce l’esigenza di rispettare la legalità”. Palazzo Chigi
suggerisce che i responsabili siano deferiti a una corte internazionale.
Damasco respinge le accuse e le ritorce contro gli insorti
–“terroristi sono in possesso dei gas e li useranno in Europa”-; e avverte che
la Siria diventerà “il cimitero degli invasori”. Le forze lealiste hanno
cominciato a riposizionarsi, per rendersi meno vulnerabili, spostando i
comandi.
Per il ministro degli esteri russo Lavrov, un atto di forza
innescherà un’ulteriore destabilizzazione. E l’Iran giudica un attacco “un
disastro per la Regione”. La prospettiva allarma Israele, che richiama
riservisti e schiera batterie anti-missili alla frontiera con la Siria. L’Oci,
l’organizzazione della cooperazione islamica, chiede, in un comunicato,
“un’azione decisiva” contro Damasco.
I ‘falchi’ sono determinati a non rinunciare all'intervento,
che durerà “più di un giorno”, anche senza l’avallo dell’Onu. L'intelligence
Usa avrebbe le prove della responsabilità del regime, in conversazioni
telefoniche intercettate. Se scatterà, l’azione sarà condotta con missili Tomahawk
lanciati da navi nel Mediterraneo, già in loco, o da caccia bombardieri che non
entreranno, però, nello spazio aereo siriano: colpiranno aeroporti, basi e
depositi, senza però annientarne le capacità militari siriane né dare un
vantaggio decisivo ai ribelli, nelle cui fila militano integralisti e
terroristi e di cui molti diffidano.
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