Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/08/2013
“Meglio rossi che morti” scandivano i cortei di
giovani che protestavano nelle città d’Europa contro l’installazione degli
euromissili: Pershing e Cruise –si temeva- avvicinavano il rischio
dell’Olocausto nucleare (invece, si scoprì poi, quelle armi mai usate
accelerarono lo sgretolamento del Blocco Comunista, il crollo dell’Unione
Sovietica e la fine della Guerra Fredda). Ma quelli erano i primi Anni Ottanta,
ancora segnati dalle ideologie della contestazione e della partecipazione.
Anche dopo, però, lo spirito pacifista e non
violento della nostra società s’è risvegliato, davanti all'incubo d’un
conflitto. Bandiere della pace alle finestre negli Anni Novanta, quando, con
l’egida dell’Onu, la comunità
internazionale corse a riparare un palese sopruso, l’occupazione del Kuwait da
parte dell’Iraq; e ancora quando, senza il consenso dell’Onu, la Nato condusse
una guerra aerea alla Serbia; e, più di recente, nel XXI Secolo, quando,
violando di nuovo la legalità internazionale, gli Stati Uniti con “volenterosi”
alleati invasero l’Iraq col pretesto delle armi di distruzione di massa (che
non c’erano). Persino la spallata finale a un dittatore come Muammar Gheddafi
incontrò resistenze pacifiste, sia pure sporadiche.
Questa volta, invece, l’attacco alla Siria sembra
lasciare quasi indifferente l’opinione pubblica, almeno quella italiana; e non
commuove la classe politica: qualche appello, poche dichiarazioni, zero cortei,
zero campagne. Certo, nessuno ha voglia (e nessuno pensa) di “morire per
Damasco”, come nessuno aveva voglia (e nessuno dei nostri lo fece) di “morire
per Tripoli”. Ma nessuno ha neppure voglia di fare lo scudo umano per il
presidente Assad, come due anni or sono nessuno si sentiva di farlo per il
colonnello Gheddafi. Da una parte, regimi responsabili di crimini pesanti contro
i loro popoli. Dall'altra, opposizioni composite, magari inquinate da
integralisti e terroristi .
E allora?, lasciare carta bianca ai monatti delle
‘bombe intelligenti’ e delle ‘operazioni chirurgiche’, che riducono al minimo i
‘danni collaterali’ –cioè le vittime civili, uomini, donne, bambini, quelli che
l’ ‘intervento umanitario’ vorrebbe proteggere-? Nei briefing ‘off the record’,
o nei ‘talk shows’ televisivi, ci raccontano la solita favola della guerra
lampo: una gragnola di missili “di precisione” contro “obiettivi strategici”,
aeroporti, basi, depositi; 72 ore ed è finita. Tutti discorsi che servono solo
a mettere la sordina alle coscienze.
Noi, però, stiamo a pensare all’Imu e al Cav. Mica
stiamo a chiederci perché intervenire e con quale legittimità internazionale,
se l’Onu non dà l’avallo. Chi invoca l’emergenza umanitaria, dice che bisogna
proteggere i civili -uccidendone un po’ di più?, magari pochi?- . Ma i morti
ammazzati dalle armi convenzionali sono meno morti ammazzati di quelli del gas
sarin, al di là dell’orrore delle armi chimiche?, e migliaia di vittime, milioni
di sfollati non erano già emergenza umanitaria?
Dedichiamo uno spazio dei tg al dramma siriano e al
conflitto imminente. Certo, non ci riguarda, perché noi italiani stavolta ne
stiamo fuori, almeno così abbiamo capito. Però, le cronache recenti del nostro
Paese –si direbbe- hanno ottuso le nostre coscienze, ci hanno reso indifferenti
e incapaci d’indignazione. Evasori impuniti, politici corrotti, industriali
inquinatori: scrolliamo le spalle, manco protestiamo. Bimbi ‘gasati’, missili, bombe:
voltiamo le spalle, manco guardiamo. Ormai stinte, le bandiere della pace
restano nei bauli.
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