La fine dell’estate - chè, dopo Ferragosto, non c’è niente da fare: ricomincia il campionato e finisce l’estate – ha come corollario il Meeting di Rimini e le feste dei partiti, che sono occasione e palestra di discorsi politici a tutto campo, tondi e vuoti, di quelli zeppi d’imperativi all’infinito, che poi tanto nessuno te ne chiede conto quando si tratta di passare dal dire al fare.
Ora, quest’anno per
le cose italiane potrebbe essere un po’ diverso, visto che il governo ha
infoltito la sua agenda di scadenze anticipare rispetto al solito trantran: su
Imu ed Iva, ad esempio, tutto deve –pardon, dovrebbe- essere deciso entro il 31
agosto; e, subito dopo, si farà (forse) la legge elettorale. Bene: stiamo a
vedere…
Sulle cose europee, invece,
il momento è giusto per spararle grosse. Tanto, fino al 22 settembre, cioè fino
alle elezioni politiche tedesche, l’Ue è ferma: non accadrà nulla. E, dopo il
22 settembre, sarà tutta un’altra Unione – o, magari, sarà la stessa -. Così,
al Meeting dell’Amicizia, il premier Enrico Letta dice che “il 2014 può essere l’anno
del nuovo inizio per l'Europa” –perché?, perché ci sono le elezioni europee e
cambiano i Vertici delle Istituzioni?, o perché l’Italia avrà la presidenza di
turno del Consiglio dei Ministri dell’Ue nel secondo semestre, quando le nomine
in corso provocheranno una semi-paralisi dell’attività corrente?”-. E Letta
aggiunge che l’Unione “deve aiutare a creare lavoro … ed essere diversa da
quella che abbiamo osservato in questi anni di crisi”, che “bisogna cambiare le
istituzioni”: "Non l'Europa del rigore e basta, ma l'Europa dei popoli, che
costruisce risposte concrete ai bisogni e ai problemi veri delle persone”.
E il messaggio al
Meeting del presidente della Repubblica Giorgio Napolitano ammonisce l’Unione a
essere “unita, o la globalizzazione la sommerge”; vede un’Unione “malata di
mancato sviluppo” che rischia di “perdere peso” -ma non l’ha già perso?- se non
reagirà “all’impoverimento spirituale".
Sull’Europa, gli
esercizi del presidente e del premier appaiono più di maniera che concreti e
precisi: formule passepartout, che suonano bene a tutti e non infastidiscono
nessuno. Letta, con l’ ‘Europa dei popoli’, ripropone una formula che di fatto
non significa nulla, ma evoca l’ ‘Europa delle patrie’ ed è immediatamente
gradita al centro-destra. Che, infatti, lo invita subito “a fare saltare il
tavolo della retorica europeista”.
Era questo l’effetto
voluto?, compiacere Cicchitto e Gasparri?, e lasciare insoddisfatti chi
s’aspetta iniziative europee concrete e precise, da parte dell’Italia? Non è
neppure trasparente l’insistenza sull’importanza del semestre di presidenza
italiano: Napolitano pare evocarlo a riprova dell’esigenza di arrivarci con un
governo saldo e sperimentato, cioè questo fra un anno; Letta, invece, alimenta
attese di risultati che difficilmente potranno poi essere conseguiti, come se
già sapesse che il peso d’eventuali fallimenti rispetto agli obiettivi ora indicati
non ricadrà su di lui.
Il tutto sullo sfondo
d’un ottimismo a 360 gradi condito di banalità (“Ci sono nuovi protagonisti
dell’ordine mondiale”; e ancora “Un G20 sempre più determinante sulle grandi
questioni globali”: ai primi di settembre, lo vedremo), imprecisioni (l’Unione
bancaria è indicata come tema prioritario del semestre italiano, quando tutte
le decisioni politiche dovrebbero essere prese quest’anno) ed esagerazioni. “Mi
pare –dice ad esempio Letta- che le conclusioni del Consiglio europeo di giugno,
con gli interventi per la lotta contro la disoccupazione dei giovani, segnino
un cambio di passo": sei miliardi di euro in sette anni per 28 Paesi sono
il “cambio di passo”?
Alla domanda se
l’euro sia una sciagura, Letta risponde: "E' una sciocchezza: l'euro non
lo è"; anzi, è “un tassello della più ampia e ambiziosa Unione economica e
politica”, che, però, non c’è e di cui non si dice come realizzarla. Il premier
preferisce volare alto e innescare una retorica europeista d’impronta
democristiana: "Dobbiamo batterci per un'Europa che torni ad avere
un'anima, che alimenti le speranze di centinaia di milioni di cittadini, che si
configuri come la più alta e nobile idealità delle nostre generazioni. Più
vicina ai cittadini, più efficiente, più coraggiosa. Un'Europa che non vive di
procedure e routine, ma che si dà obiettivi e li realizza con serietà e
tempestività".
Benissimo: belle
parole e concetti tutti largamente condivisibili nella loro genericità. Un po’
fuffa: discorsi d’estate, appunto. Un giorno d’autunno il premier ci dirà che
cosa vuole fare in concreto. Sempre che ne abbia il tempo: di dircelo e di
farlo.
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