Scritto per Il Fatto Quotidiano del 30/08/2013
Adesso, Obama, Cameron, Hollande traccheggeranno per qualche
giorno: devono farlo, l’Onu ha bisogno di tempo per fare rientrare – domani -
gli ispettori dalla Siria, i parlamenti nazionali rumoreggiano, bisogna
convincere alleati e, soprattutto, nemici che l’azione sarà limitata.
Ma, poi, la finestra per l’attacco ‘punitivo’ al presidente
al-Assad, dopo l’uso dei gas il 21 agosto, sarà ristretta: l’1 o il 2 settembre
al massimo. Tutto dev’essere finito il 5, quando il Vertice del G20 si riunirà
a San Pietroburgo, sotto la presidenza del padrone di casa, Putin. Mica si può
arrivare dallo ‘zar’, ospiti suoi, con i missili ancora in volo e il fragore
dei botti che disturba l’incontro.
La giornata di ieri è stata interlocutoria, come previsto.
In serata, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu s’è riunito al Palazzo di Vetro,
ma non c’era da attendersi un’intesa. Obama ha di nuovo assicurato che
l’attacco, se ci sarà, sarà limitato nel tempo e negli obiettivi e ha spedito
emissari al Congresso (“non sarà un nuovo Iraq”, l’assicurazione data a
deputati e senatori). Cameron trova ai Comuni forte opposizione e smorza i toni
e smussa gli angoli. Hollande rilancia: castigare al-Assad non basta, bisogna
risolvere la crisi. E il papa, ricevendo il re di Giordania Abdallah, insiste
sul dialogo.
In realtà, sono due anni e mezzo che la crisi siriana va
risolta. Forse, questo passaggio scabroso, l’uso dei gas e la ‘punizione’
occidentale, potrebbe essere la svolta. Subito dopo, magari proprio già a San
Pietroburgo, potrebbe iniziare la ricerca comune d’una soluzione condivisa tra
Washington e Mosca: via il presidente, ma fuori dalla stanza del bottoni anche
gli inaffidabili ribelli.
Però, bisogna disinnescare il rischio di reazioni fuori
misura, iraniane o di milizie vicine all’Iran, che, intanto, rivela l’Aiea,
amplia i programmi d’arricchimento dell’uranio nell’impianto di Natanz. E
bisogna tenere fuori da tutto ciò Israele, dove il barometro del timore sono le
vendite di maschere anti-gas.
Il regime siriano s’impegna a difendere il proprio Paese da
ogni aggressione. Le forze armate si posizionano per ridurre al minimo
l’effetto della gragnola di missili che potrebbe colpirle: gli Usa e i loro
alleati avrebbero limitato a una cinquantina i potenziali obiettivi, ma
rischiano di trovarne molti vuoti. Il che potrebbe fare comodo a tutti: il WSJ
sospetta che l’azione, decisa per “fare qualcosa”, venga deliberatamente
calibrata per “fare molto poco”.
L’intrecciarsi di preparativi nel Mediterraneo non agevola
la diplomazia: 5 unità navali americane incrociano ora a distanza di tiro
utile; la Francia
fa salpare una fregata; la Gran Bretagna
dispiega caccia ad Akrotiti, la sua base cipriota. E la Russia compie un
avvicendamento “di routine” di navi da guerra nel Mediterraneo orientale,
dislocandovi unità lanciamissili e anti-sottomarini.
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