Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/08/2013
Il presidente Usa Barack Obama prova, ancora una volta, a spegnere
gli incendi del Medio Oriente con una pioggia di parole. E mentre lui parla
d’Egitto e Siria, due micidiali deflagrazioni a Tripoli del Libano, davanti a
due moschee sunnite, ricordano quanto siano intricate le questioni
mediorientali: autobombe fanno almeno 42 morti e 500 feriti -fonti ufficiali-.
Sono gli attentati più gravi nel Paese dalla fine della guerra civile.
Le esplosioni non paiono riconducibili al conflitto
israeliano-palestinese, anche se, giovedì, c’erano stati tiri di razzi dal
Libano su Israele, seguiti, nella notte, da raid israeliani contro Na’meh, base
di un gruppo che combatte per il regime siriano. Gli attacchi sono, piuttosto,
l’ennesimo capitolo dello scontro in atto nel Mondo arabo, non solo tra sciiti
e sunniti, ma all'interno della comunità sunnita.
In un’intervista alla Cnn, Obama, da poco rientrato alla
Casa Bianca da vacanze in famiglia, dice che su Egitto e Siria è arrivata l'ora
di “cambiare registro” e di “prendere decisioni chiave”: “Gli Usa –afferma-
faranno scelte a breve”. Ma il NYT riferisce di divisioni nell'Amministrazione
sull'atteggiamento da tenere, specie verso la Siria.
Sulla presunta strage di ribelli e civili col gas nervino,
il presidente esprime “preoccupazione” e parla di “evento grave”. Ma la cautela
è evidente: un anno fa - giorno più, giorno meno -, Obama tracciava la linea
rossa dell’uso di armi di distruzione di massa come limite invalicabile dal
presidente al-Assad, pena l’intervento militare degli Stati Uniti.
Però, d’intervenire, in una guerra dove i cattivi sono
ovunque, mentre non è facile dire chi siano i buoni, Washington non ha nessuna
voglia. Obama non agirà senza avallo internazionale ed è più prudente del capo dell'Onu
Ban Ky-moon: se accertato, il ricorso al gas è “un crimine contro l’umanità” e avrà
“gravi conseguenze per chi lo ha perpetrato”. Mentre Francia e Svezia si
sbilanciano a considerare “probabile” la responsabilità del regime, anticipando
l’esito delle inchieste.
Un rapporto di Save the Children segnala un milione di
bambini siriani sfollati (su un totale di quasi 5 milioni di rifugiati, un
quarto della popolazione) e almeno 7000 minori uccisi. Cifre labili, fra di
loro contraddittorie, come tutte quelle di questa tragedia.
Gli attentati in Libano e l’allarme chimico siriano lasciano
in secondo piano gli sviluppi in Egitto, nel ‘venerdì dei martiri’, le vittime
della repressione. La bozza di Costituzione presentata dal governo insediatosi
dopo la deposizione del presidente legittimo Mohamed Morsi, prevede il bando
dei partiti religiosi e la fine dell’interdizione per gli esponenti del partito
di Mubarak, il ‘satrapo’ rovesciato nel 2011 e appena uscito dal carcere.
Obama non esclude uno stop agli aiuti all'Egitto, se il
governo ‘ad interim’ calpesterà “i nostri valori”. Ma che cosa deve accadere
ancora?, se, nonostante la giornata relativamente ‘tranquilla’, rispetto ai
timori, le cronache riferiscono di 80 “terroristi uccisi” nel Sinai –come i
militari chiamano ora i Fratelli musulmani-, di scontri e vittime in varie città
durante manifestazioni ‘pro Morsi’ e di decine di arresti.
Eppure, da noi c’è chi sposta l’accento sulla tutela della libertà religiosa dei cristiani copti. E chi alza lai per l’arrivo sulle nostre coste di esseri umani che sfuggono alla guerra, alla persecuzione, alla violazione di tutti i diritti.
Eppure, da noi c’è chi sposta l’accento sulla tutela della libertà religiosa dei cristiani copti. E chi alza lai per l’arrivo sulle nostre coste di esseri umani che sfuggono alla guerra, alla persecuzione, alla violazione di tutti i diritti.
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