La guerra più lunga
che gli Stati Uniti abbiano mai combattuta, senza manco vincerla, ha avuto l’ennesimo
sanguinoso sussulto: quasi 14 anni dopo il rovesciamento del regime di Kabul che
proteggeva i santuari di al Qaeda, i talebani non solo controllano intere aree
del Paese, montuoso enorme poco abitato – più del doppio dell’Italia e meno di
32 milioni di abitanti -, ma sono anche capaci di colpire le istituzioni nel
cuore della capitale.
Certo, l’attacco al
Parlamento va male: il commando talebano che prende d’assalto la Wolesi Jirga, cioè
la Camera del Popolo, da non confondere con la Loya Jirga, l’Assemblea del
Popolo a carattere etnico e tribale, e mette a ferro e fuoco la zona attorno
all'edificio, non riesce a fare irruzione all'interno.
Sul terreno, uccisi,
restano tutti i terroristi, il kamikaze che si fa saltare in aria dentro
un’auto vicino al Parlamento e altri sei uomini. Tra le vittime civili, ci sono
una donna e un bambino. I feriti sono una quarantina. Tutti illesi, invece, i deputati
che vengono portati via e messi in sicurezza fra scene di caos.
L’audacia dell’azione
dei talebani, apice dell’ormai tradizionale offensiva di primavera, conferma quanto sia difficile il compito del
governo di Kabul, dopo la conclusione della missione Nato Isaf. Cronache di
sangue e di attentati sono quotidiane. Sabato, almeno 14 membri di una stessa
famiglia erano stati uccisi da una bomba artigianale esplosa lungo una strada
nel distretto di Marja, provincia di Helmand, feudo talebano nel sud del Paese.
E proprio ieri i talebani avrebbero preso il controllo del distretto di
Dasht-e-Archi nella provincia di Kunduz, a Nord, dopo essersi impossessati sabato
del distretto di Chardara.
Con l’Iraq e la
Nigeria, l’Afghanistan è il Paese al mondo più esposto ad attacchi
terroristici. E, dopo la Siria e il Corno d’Africa, è pure il Paese da cui
arrivano in Europa più richiedenti asilo.
La lunga guerra non è
dunque bastata a vincere la resistenza dei talebani, che trova linfa nell’ostilità
d’una parte dell’etnia pashtun, la maggioritaria in Afghanistan –oltre il 40%
della popolazione-, alla presenza straniera e occidentale. Il presidente Obama
s’era impegnato a porre termine alla presenza militare americana in Afghanistan
a fine 2014, ma la lezione dell’Iraq lo ha poi indotto a cambiare
atteggiamento.
Così, a fine 2014, la
forza dell’Isaf, che era giunta a impiegare fino a 80 mila uomini, provenienti
da una quarantina di Paesi, cessava d’esistere, ma veniva parzialmente
rimpiazzata dalla missione Sostegno Risoluto in ambito Nato: 12500 uomini, cui
l’Italia partecipa con un contingente di circa 750 unita. Le notizie da Kabul
rilanciano la polemica sulla loro presenza: “La Nato ha fallito, ritiriamo il
contingente italiano”, chiede il M5S.
La missione Resolute
Support ha l’avallo del presidente Ashraf Ghani, eletto tra molte contestazioni
l’anno scorso, dopo la controversa previdenza di Hamid Karzai, ed è stata
ratificata dal Parlamento di Kabul. Ma questo non vuol dire che sia ben vista
dalla popolazione, specie nel Sud e nell’Est, lungo il confine montagnoso con
il Pakistan. E le milizie afghane stanno anche divenendo un fattore dello
scontro fra sciiti e sunniti che si combatte tra Iraq e Siria.
L'attacco di ieri al
Parlamento è iniziato quando un kamikaze al volante di un'auto s’è fatto
saltare in aria vicino all'ingresso dell'edificio. Subito dopo l'esplosione, un
gruppo di altri sei miliziani s’è trincerato in un edificio adiacente, sparando
contro le forze di sicurezza. L'aula dell’Assemblea si riempie di fumo: il
presidente, Abdul Rauf Rahimi, dice "è un problema elettrico", ma
viene fatto alzare e portato via dalla sicurezza.
Dell’offensiva di
primavera, fanno le spese soprattutto i civili: oltre mille le vittime nei
primi 4 mesi di quest'anno, molte di più rispetto allo scorso anno. I tentativi
di avviare negoziati con i talebani, incoraggiati dal Pakistan, sono finora
falliti: gli insorti pongono come condizione il ritiro preventivo dal Paese delle
truppe straniere.
Nessun commento:
Posta un commento