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martedì 23 giugno 2015

Afghanistan: maledetta primavera, i talebani colpiscono ancora

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/06/2015

La guerra più lunga che gli Stati Uniti abbiano mai combattuta, senza manco vincerla, ha avuto l’ennesimo sanguinoso sussulto: quasi 14 anni dopo il rovesciamento del regime di Kabul che proteggeva i santuari di al Qaeda, i talebani non solo controllano intere aree del Paese, montuoso enorme poco abitato – più del doppio dell’Italia e meno di 32 milioni di abitanti -, ma sono anche capaci di colpire le istituzioni nel cuore della capitale.

Certo, l’attacco al Parlamento va male: il commando talebano che prende d’assalto la Wolesi Jirga, cioè la Camera del Popolo, da non confondere con la Loya Jirga, l’Assemblea del Popolo a carattere etnico e tribale, e mette a ferro e fuoco la zona attorno all'edificio, non riesce a fare irruzione all'interno.

Sul terreno, uccisi, restano tutti i terroristi, il kamikaze che si fa saltare in aria dentro un’auto vicino al Parlamento e altri sei uomini. Tra le vittime civili, ci sono una donna e un bambino. I feriti sono una quarantina. Tutti illesi, invece, i deputati che vengono portati via e messi in sicurezza fra scene di caos.

L’audacia dell’azione dei talebani, apice dell’ormai tradizionale offensiva di primavera,  conferma quanto sia difficile il compito del governo di Kabul, dopo la conclusione della missione Nato Isaf. Cronache di sangue e di attentati sono quotidiane. Sabato, almeno 14 membri di una stessa famiglia erano stati uccisi da una bomba artigianale esplosa lungo una strada nel distretto di Marja, provincia di Helmand, feudo talebano nel sud del Paese. E proprio ieri i talebani avrebbero preso il controllo del distretto di Dasht-e-Archi nella provincia di Kunduz, a Nord, dopo essersi impossessati sabato del distretto di Chardara.

Con l’Iraq e la Nigeria, l’Afghanistan è il Paese al mondo più esposto ad attacchi terroristici. E, dopo la Siria e il Corno d’Africa, è pure il Paese da cui arrivano in Europa più richiedenti asilo.

La lunga guerra non è dunque bastata a vincere la resistenza dei talebani, che trova linfa nell’ostilità d’una parte dell’etnia pashtun, la maggioritaria in Afghanistan –oltre il 40% della popolazione-, alla presenza straniera e occidentale. Il presidente Obama s’era impegnato a porre termine alla presenza militare americana in Afghanistan a fine 2014, ma la lezione dell’Iraq lo ha poi indotto a cambiare atteggiamento.

Così, a fine 2014, la forza dell’Isaf, che era giunta a impiegare fino a 80 mila uomini, provenienti da una quarantina di Paesi, cessava d’esistere, ma veniva parzialmente rimpiazzata dalla missione Sostegno Risoluto in ambito Nato: 12500 uomini, cui l’Italia partecipa con un contingente di circa 750 unita. Le notizie da Kabul rilanciano la polemica sulla loro presenza: “La Nato ha fallito, ritiriamo il contingente italiano”, chiede il M5S.

La missione Resolute Support ha l’avallo del presidente Ashraf Ghani, eletto tra molte contestazioni l’anno scorso, dopo la controversa previdenza di Hamid Karzai, ed è stata ratificata dal Parlamento di Kabul. Ma questo non vuol dire che sia ben vista dalla popolazione, specie nel Sud e nell’Est, lungo il confine montagnoso con il Pakistan. E le milizie afghane stanno anche divenendo un fattore dello scontro fra sciiti e sunniti che si combatte tra Iraq e Siria.

L'attacco di ieri al Parlamento è iniziato quando un kamikaze al volante di un'auto s’è fatto saltare in aria vicino all'ingresso dell'edificio. Subito dopo l'esplosione, un gruppo di altri sei miliziani s’è trincerato in un edificio adiacente, sparando contro le forze di sicurezza. L'aula dell’Assemblea si riempie di fumo: il presidente, Abdul Rauf Rahimi, dice "è un problema elettrico", ma viene fatto alzare e portato via dalla sicurezza. 

Dell’offensiva di primavera, fanno le spese soprattutto i civili: oltre mille le vittime nei primi 4 mesi di quest'anno, molte di più rispetto allo scorso anno. I tentativi di avviare negoziati con i talebani, incoraggiati dal Pakistan, sono finora falliti: gli insorti pongono come condizione il ritiro preventivo dal Paese delle truppe straniere.

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