Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/06/2015
Fra le tante
promesse da marinaio che i leader dei Grandi hanno fatto, e si sono fatte, al Vertice
d’una settimana fa in Germania, quella che aveva le gambe più corte riguardava
l’accelerazione dei negoziati per la zona di libero scambio transatlantica e il
raggiungimento dell’accordo entro l’anno. Nel giro di pochi giorni, le
resistenze che l’intesa suscita, in America e in Europa, si sono concretizzate:
invece di accelerare, le trattative frenano.
A
Strasburgo, il Parlamento europeo, in una seduta concitata, s’è spaccato -183
sì, 181 no, rinviando sia il voto che la discussione sull'intesa commerciale
Ue-Usa. A Washington, la Camera statunitense ha negato all'Amministrazione poteri
speciali per negoziare analogo accordo con i Paesi del Pacifico: determinante
l’ostilità dei democratici, il partito del presidente Obama, mentre
l’opposizione repubblicana, tendenzialmente liberista, era pronta a dargli
carta bianca.
Nessuno dei
due eventi –il rinvio a Strasburgo e il no di procedura a Washington- è
determinante e irreversibile. Ma l’uno e l’altro fanno emergere le resistenze
che i negoziati incontrano a livello politico e sociale, nonostante gli
economisti ne prevedano un impatto positivo sulla crescita e industria e
finanza siano favorevoli. Ttip –Transatlantic trade and investment partnership-
e Tpp –Transpacific partnership- hanno in comune acronimi orribili e dimensioni
commerciali: ciascuno interessa circa il 40% del commercio mondiale; ma,
rispetto al Ttip, il Ttp ha maggiore valenza politica, in funzione di
contenimento della Cina.
Dietro le
riserve sul Ttip, ci sono timori disparati, più o meno fondati, talora
decisamente campati in aria: per la tutela del ‘made in’ e per gli Ogm, per gli
standard di qualità alimentari e persino farmaceutici, per la proprietà intellettuale,
per i posti di lavoro. Sono, in fondo, gli stessi timori che tuttora ostacolano
l’attuazione del mercato unico europeo: l’asserita difesa del bene comune cela
spesso la tutela di qualche interesse corporativo.
Tutti sanno
che se le trattative sul Ttip finiscono negli ingranaggi della campagna
presidenziale negli Stati Uniti ne usciranno maciullate: la finestra utile è
quindi limitata, di qui a fine anno. Se no, se ne riparla nel 2017, col rischio
di ricominciare da capo con una nuova Amministrazione.
Negli Usa, tra
i fattori che frenano vi sono "fraintendimenti" di carattere
politico, aveva indicato, poco prima del no della Camera sul Tpp, Amy M. Nice,
direttore del dipartimento immigrazione della Camera di Commercio statunitense:
il Congresso teme che la Casa Bianca abbia acquisito un potere eccessivo,
nonostante il presidente e i negoziatori abbiano “una piattaforma negoziale chiara
e ben congegnata".
Da parte
europea, si lamenta la segretezza delle trattative, che sono condotte, a norma
dei Trattati dell’Unione, dalla Commissione europea, in base a un mandato
negoziale definito dal Consiglio dei Ministri dell’Ue sentito il Parlamento
europeo. La piattaforma è stata resa pubblica, all’inizio dell’anno, per
iniziativa della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue.
L’Esecutivo
di Bruxelles ha preso atto della battuta d’arresto in Parlamento: Cecilia
Malmstroem, responsabile del commercio internazionale, riconosce che “il tema
suscita preoccupazioni”, ma insiste sugli “aspetti positivi". E,
nell'attesa che l’Assemblea “arrivi alla fine del suo dibattito", "la
Commissione continua i negoziati", sempre "tenendo conto delle
posizioni degli Stati membri e del Parlamento espresse negli ultimi mesi".
Il prossimo round negoziale, il decimo, è previsto in luglio a Bruxelles. Per ora, non risultano ancora fissate le date né l'agenda precisa della sessione.
Il prossimo round negoziale, il decimo, è previsto in luglio a Bruxelles. Per ora, non risultano ancora fissate le date né l'agenda precisa della sessione.
Per il
governo italiano, le resistenze sul Ttip "non sono una buona cosa": “Abbiamo
sempre spinto e continuiamo a farlo per la tutela del ‘made in Italy’ e per
l’accordo”, ricorda il ministro Gentiloni, parlando dall’Expo, tempio della
globalizzazione. Non cela il pessimismo l’ex premier Enrico Letta: “Le paure
stanno prendendo il sopravvento in vari Paesi europei: il Ttip spaventa, si
teme che gli Usa vogliano invaderci. E tiepidi sono pure gli americani, ad
eccezione di Obama". Ma "per noi europei una nuova stagione di
accordi commerciali è fondamentale: il protezionismo è la nostra morte".
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