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domenica 7 giugno 2015

Is: Siriaq, il Califfo disfa due Stati e ne fa uno, Assad traballa

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/06/2015

Sono vecchi di quasi un secolo gli accordi tra le Super-Potenze del tempo che disegnano i confini dell’attuale Medio Oriente: con l’avallo della Russia, Gran Bretagna e Francia firmarono l’intesa Sykes-Picot (i diplomatici che la negoziarono) il 16 maggio 2016. E mai come in questo momento quei confini appaiono fragili e caduchi: la macchia nera sulla cartina del sedicente Califfato non si può più cancellare via, è un elemento di cui tenere conto nel pensare l’assetto della Regione. E che tende a espandersi: nelle ultime ore, gli jihadisti in Libia hanno preso un villaggio, Harawa, che apre loro la via ai terminal petroliferi a est della Sirte.

Roberto Iannuzzi, ricercatore universitario e specialista dell’area, scrive su AffarInternazionali.it che, “in assenza di un processo negoziale credibile –che ora non c’è, ndr-, il conflitto siriano si protrarrà ancora a lungo, distruggendo sempre di più il Paese e intrecciandosi con le dinamiche dello scontro regionale”.

Come e più di al-Abadi in Iraq, Assad in Siria non solo non pare più in grado di riprendersi il Paese e di ricostituirne l’integrità, ma fatica a difendere la sue roccaforti socio-etnico-familiari: la capitale Damasco e Homs, il tratto di costa mediterranea a maggioranza alawita con Latakia e Taurus.

Le forze regolari irachene e siriane –queste ultime finora più efficienti e disciplinate- non sono disposte a battersi in territorio nemico, cioè là dove il tessuto etnico.religioso locale è loro ostile. Significativo in tal senso il parallelismo tra le recenti ‘cadute’ di Ramadi in Iraq e Palmira in Siria: le due città sono state abbandonate dai ‘lealisti’, più che conquistate dagli jihadisti.

Ma in Iraq il triangolo delle etnie e delle fedi è relativamente semplice ed è consolidato: i curdi difendono la loro autonomia nel Nord-Ovest, tra Iran, Turchia, Siria, con l’obiettivo –lontano- dell’indipendenza; i sunniti, minoritari (un terzo della popolazione), ma capaci d’organizzarsi, tengono il Nord-Est e controllano i valichi di frontiera con la Siria; gli sciiti hanno tutto il sud.

In Siria, invece, l’attacco allo Stato delle milizie jihadiste incide su una situazione già compromessa da 4 anni di guerra civile, centinaia di migliaia di vittime, milioni di rifugiati nei campi in Libano e Turchia. Contro il regime, ma anche gli uni contro gli altri, combattono, in un Paese grande poco più di metà Italia, con 21 milioni di abitanti, il sedicente Stato islamico e una composita coalizione di ribelli ostili ad Assad e al Califfo nello stesso modo.

Al confine turco, i curdi si auto-proteggono, come la vicenda di Kobane, prima caduta, poi ripresa, dimostra. Si sono invece perse le tracce dell’opposizione moderata cui doveva fare riferimento la coalizione internazionale, che combatte il contro Califfo, ma pure contro Assad.

I miliziani dell’Is hanno fatto di Raqqa la loro capitale, hanno preso Palmira, sono quasi ad Hasake, hanno consolidato il controllo della Siria centro-orientale, tenendo quasi tutto il confine iracheno.
La coalizione, costituita da gruppi salafiti e jihadisti come Ahrar al-Sham, Jaish al-Islam e Al-Nusra (affiliata ad al Qaeda, ma ostile al Califfo), ha appena acquisito il controllo della provincia di Idlib e vorrebbe prendere Aleppo, la maggiore città dopo Damasco, per farne la capitale del suo emirato.

Ma deve guardarsi dagli jihadisti e pure da una possibile offensiva ‘lealista’, condotta con forze d’estrazione iraniana -15 mila i combattenti mobilitati-. La variabile Teheran pesa parecchio e inquieta Israele, il cui Stato Maggiore stima che l’esercito siriano “non esista più”.

Iannuzzi spiega: “Sebbene esistano sacche ribelli intorno a Damasco e sul confine libanese, l’offensiva anti-regime viene soprattutto da sud-ovest, cioè dal confine giordano, e da nord-ovest, cioè dalla frontiera turca. In Giordania e Turchia esistono due ‘sale operative’ che coordinano l’azione dei ribelli anti-Assad. Nella prima, l'intelligence statunitense e giordana operano con agenti delle monarchie del Golfo - l’ascesa al trono a Riad di re Salman è stata una svolta-; nella seconda, collaborano servizi americani e turchi”.

Washington ha predisposto un piano per addestrare fino a 15 mila ribelli in Turchia, Giordania, Arabia Saudita e Qatar. Ma l’alleanza è strabica: se per l’Occidente, la priorità è fermare il Califfo, per sauditi e turchi è rovesciare Assad. Per il momento, il Califfo avanza e Assad traballa, ma, puntellato dall'Iran, resta lì.

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