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martedì 2 giugno 2015

Usa: un repubblicano libertario spegne (per poco) il Grande Fratello

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 02/06/2015 

Una delle sue priorità è tenere gli americani al riparo dal proprio Governo, che considera un’idra cui mozzare le nove teste. L’altra delle sue priorità è farsi conoscere dagli americani, perché Rand Paul, senatore del Kentucky, oculista, figlio di ginecologo, è uno dei tanti –già otto, ma presto andranno in doppia cifra- candidati alla nomination repubblicana alla Casa Bianca per Usa 2016; ma, fuori dal Kentucky, pochi sanno chi sia. 

D’un colpo solo, Rand Paul, 52 anni, due volte figlio d’arte –il padre è un deputato del Texas ed è stato candidato libertario alla Casa Bianca e più volte candidato alla nomination repubblicana-, ha parzialmente centrato i suoi obiettivi: campione del Tea Party, il più conservatore fra quanti corrono per la Casa Bianca, ha bloccato con un cavillo il rinnovo dell’articolo del Patriot Act che consentiva alla National Security Agency di intercettare le comunicazioni degli americani (telefoniche, di mail, di dati). 

E’ stata una battaglia di procedura fra i due senatori del Kentucky, entrambi repubblicani: il più esperto Mitch McConnell, il leader della maggioranza al Senato, s’è fatto infinocchiare da Rand, quasi un pivello, al primo mandato. Ora, McConnell cerca di recuperare quel che può con voti a raffica. 

Così, dalle 24.00 di ieri, le 06.00 in Italia, gli Stati Uniti non vivono più sotto la tettoia delle norme anti-terrorismo varato dall’Amministrazione repubblicana di George W. Bush dopo gli attacchi dell’11 Settembre 2001: magari, più esposti a nuovi attacchi, ma al riparo dal Grande Fratello denunciato, a più riprese, da Wikileaks e, poi, con l’Nsagate, da Edward Snowden, un ex analista dell’Agenzia. 

Nei prossimi giorni, il Patriot Act sarà sostituito dal Freedom Act, ma lo stop alle intercettazioni dovrebbe rimanere. La Nsa ha già chiuso il programma di sorveglianza di massa la cui portata venne rivelata da Snowden: gli 007 Usa non possono più raccogliere in modo indiscriminato metadati telefonici (numeri di telefono del chiamante e del ricevente, durata delle conversazioni, pure per le email o gli sms) con accesso diretto alle utenze dei cittadini statunitensi. 

Con il Freedom Act, l’Amministrazione potrà accedere a quei dati solo previa autorizzazione. Non è chiaro, al momento, quale sarà il destino di tutte le informazioni raccolte e registrate dal 2006. 

La Casa Bianca ha giudicato "uno scivolone irresponsabile" la mancata proroga dello ‘statu quo’, nell’attesa dell’adozione del Freedom Act, già approvato dalla Camera a larghissima maggioranza (338 sì e 88 no), ma non ancora dal Senato, che s’è comunque pronunciato con 77 sì e 17 no per esaminare il provvedimento. Il presidente Obama spinge per la riforma, considerata un compromesso per rispondere alle preoccupazioni sulla privacy e, nel contempo, mantenere strumenti di protezione dell’Unione. 

"Questa legge alla fine passerà", ha ammesso lo stesso Paul. Secondo gli esperti, un vuoto di soli pochi giorni avrà scarsi effetti immediati. Le autorità sono infatti autorizzate a continuare la raccolta d’informazioni legata a indagini d’intelligence esterna iniziate prima della scadenza. 

La mossa di Paul gli gioverà, in chiave Casa Bianca? Senz’altro, gli ha dato immediata visibilità nazionale; ma non è sicuro che ne abbia aumentato la popolarità fra i repubblicani, perché molti, conservatori, ma non libertari, difendono il Patriot Act e la legislazione anti-terrorismo. 

Paul, però, sa che la sua corsa alla nomination è segnata in partenza: come riuscì al padre nel 2012, può divenire la mina vagante delle primarie repubblicane, ma non potrà mai diventare il candidato del partito: con lui in corsa, sarebbe una disfatta assicurata, quale che sia l’antagonista democratico

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