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mercoledì 17 giugno 2015

Usa 2016: Hillary e Jeb sbianchettano il loro passato

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/06/2015

Sono entrambi impegnati a sbianchettare il loro passato. Lei, Hillary, per via degli anni: non tanto quelli anagrafici, 67, che ci scherza pure sopra, quanto quelli che ha passato sulla scena pubblica nazionale, almeno 23, come first lady dal 1992 al 2001, come senatrice dello Stato di New York fino al 2006, poi candidata (battuta) alla nomination 2008, quindi segretario di Stato dal 2009 al 2013, infine di nuovo candidata.

Lui, Jeb, che di anni ne ha solo 62, per via del nome. Il papà George, presidente dal 1989 al 1993, non c’entra: quella è un’eredità che il figlio porta bene. Lunedì, prima di fare il comizio di lancio della sua candidatura, gli ha telefonato e lo ha fatto sapere. Il problema è il fratello George W, presidente dal 2001 al 2009, l’uomo che mentì all'America sull'attacco a Baghdad e che è all'origine dei conflitti che si trascinano da allora in Afghanistan e in Iraq.

Hillary Rodham Clinton e Jeb Bush sembrano avviati a una riedizione 2016 dello scontro 1992 per la Casa Bianca: Clinton contro Bush, solo che allora i protagonisti erano il marito di Hillary, Bill, e il padre di Jeb. Mediaticamente, può essere una grossa storia. Ma, per la democrazia americana e occidentale, suona un mezzo flop.

I commenti negativi fioccano: “Non ci credo: sempre gli stessi nomi, dinastie, longevità politiche, pare l’Italia, non l’America”. Invece, nel dna della politica ‘made in Usa’ degli ultimi 70 anni almeno c’è anche tutto questo: le dinastie, a cominciare dai Kennedy; gli ‘a volte ritornano’, ché la ‘seconda chance’ è ingrediente essenziale del sogno americano, a iniziare da Richard Nixon, battuto nel 1960, vincitore nel ’68; e, infine, le partite rigiocate, come accadde negli Anni 50, quando i democratici mandarono due volte l’ambasciatore Adlai Stevenson contro il generale Dwight Eisenhower (e persero due volte).

Ma anche prima storie analoghe attraversano le elezioni presidenziali negli Stati Uniti: il figlio d’un presidente alla Casa Bianca lo si era già visto nel 1825, quando John Quincy Adams, figlio di John Adams, il successore di George Washington, divenne il 6° presidente. Invece, almeno finora, un fratello di presidente o una moglie di presidente alla Casa Bianca non si sono mai visti: ci poteva riuscire Robert Kennedy, fratello di John, assassinato nella campagna 1968.

Certo, verso Usa 2016 la voglia di usato sicuro e di brand conosciuti pare davvero forte, se si pensa che una possibile alternativa alla sfida Clinton-Bush è un match Kerry-Bush, quasi una riedizione tale e quale di quello 2004: Kerry è lo stesso –John, allora senatore, attualmente segretario di Stato-, Bush il fratello.

Se Hillary è al secondo tentativo, fra i candidati alla nomination repubblicana, ormai una dozzina – ieri, è sceso pure in campo l’eccentrico miliardario Donald Trump -, almeno tre sono ‘cavalli di ritorno’ e uno –oltre a Bush- è un ‘figlio di’. E, comunque, occhio alle sorprese: Hillary non ha quasi rivali, ma può inciampare nel suo passato, scandali, errori, scheletri nell’armadio; Jeb guida la corsa nei sondaggi fra i repubblicani, ma è troppo di centro per i conservatori e non è affatto sicuro di spuntarla.

Attenti poi a schernire gli americani, come se gli alfieri dell’innovazione nel Paese di Steve Jobs, di Facebook e delle startup nei garage, si limitassero a scelte politiche dal sapore antico. Clinton-Bush sa di vecchio, ma una donna alla Casa Bianca per la prima volta, dopo un nero per la prima volta, sarebbe una novità forte. E, fra 4 o 8 anni, magari toccherà ad Andrew Cuomo, altro nome da usato sicuro, figlio di Mario. Ma sarebbe il primo italo-americano. O ci sarà il primo ispanico. E continuità e innovazione andrebbero ancora a braccetto.

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