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domenica 28 giugno 2015

Terrorismo: l'America è lontana dal sangue degli europei

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/06/2015

Quant’è lontana l’America dall'Europa, traversata dagli incubi del terrorismo. Il giorno dopo l’attacco d’un esaltato nel Sud della Francia, contro un impianto industriale, Parigi avverte “ci saranno altri attentati”; Londra fa sapere d’avere sventato un’azione progettata dallo Stato islamico contro una parata militare; e in Italia il ministro Alfano ammette che “nessun Paese è a rischio zero”.

Gli Stati Uniti non lesinano le dichiarazioni di fermezza e di solidarietà. Ma non si sentono direttamente minacciati e hanno la testa altrove, in questi giorni: all'avanzata dei diritti civili, dopo la sentenza della Corte Suprema che dichiara le unioni omosessuali un diritto costituzionale in tutti gli Stati dell’Unione; e ai rigurgiti di razzismo, contro cui il presidente Obama intona, con voce roca e commossa, Amazing Grace dall’ambone della Chiesa della strage di Charleston, dove si celebrano i funerali delle vittime della strage della scorsa settimana.

Eppure, la guerra al terrorismo è cosa anche loro, soprattutto loro: la coalizione dei volenterosi contro il Califfo l’hanno messa su loro; e i raid aerei dalla ridotta efficacia contro le milizie jihadiste li conducono in massima parte loro. Nonostante ciò, gli americani appaiono, in queste ore, sintonizzati su una lunghezza d’onda diversa dagli europei.

A 500 giorni esatti dall’Election Day dell’8 novembre 2016, Obama fa filotto in politica interna: dopo un tira e molla, il Congresso gli conferisce poteri speciali per condurre i negoziati con l’Ue e l’Asia verso due grandi aeree di libero scambio dell’Atlantico e del Pacifico; e la Corte Suprema prima salva la riforma della sanità, poi dà l’avallo alle unioni omosessuali, che suggellano l’avanzata dei diritti civili posta dal presidente in cima all'agenda del suo secondo mandato.

Obama fa cilecca solo sul controllo delle armi: neppure il massacro di Charleston smuove l’opinione pubblica e la politica in modo determinante. Un po’ ripiegata su se stessi, l’America, sulla scena internazionale, si limita a diligenti compitini: una telefonata di Obama a Putin tiene aperto il dialogo con la Russia; e l’arrivo a Vienna del segretario di Stato Kerry segna l’attesa dell’epilogo dei negoziati sul nucleare con l’Iran.

Anche l’odissea di Kobane, la Stalingrado dei curdi, appassiona poco gli Stati Uniti, che pure armano e foraggiano la controffensiva contro il Califfato. Ieri, i peshmerga avrebbero ripreso il pieno controllo della città al confine tra Siria e Turchia, già conquistata e perduta a più riprese dalle bande jihadiste, che, negli ultimi giorni, erano di nuovo riuscite a penetrarvi, occupando alcuni edifici. Secondo l'Osservatorio siriano per i diritti umani, una fonte non sempre attendibile nei suoi resoconti, gli integralisti sono stati costretti a ritirarsi, anche se vi sarebbero ancora in città sacche di resistenza e combattimenti.

Kobane è il simbolo della resistenza dei curdi al Califfato e della loro lotta per l’indipendenza, verso uno Stato curdo nel Nord della Siria osteggiato dalla Turchia.

L’offensiva delle milizie jihadiste, lanciata giovedì scorso, avrebbe fatto oltre 200 vittime civili. L’avanzata del Califfato conosce, in questi giorni, battute d’arresto, dopo i successi di Ramadi e Palmira. Fermi sul terreno, gli integralisti hanno però lanciato un ‘Ramadan del terrore’ dal Kuwait alla Tunisia all'Europa: in questa guerra, droni e aerei sono americani, ma in prima linea ci siamo ora noi.

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