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martedì 30 giugno 2015

Grecia/Ue: una giornata complicata, tra speranze e docce fredde

Scritto per La Presse il 30/06/2015

Una giornata complicata, quella che potrebbe essere l’ultima della Grecia nell’euro prima del default. Perché, alla mezzanotte e un minuto, Christine Lagarde e i suoi palafrenieri dell’Fmi potrebbero bussare alla porta del governo di Atene ed esigere il pagamento della fetta di debito loro dovuta, 1,6 miliardi di eruo. Sarebbe il default: la Grecia fallita, i mercato esposti alla speculazione, l’euro scheggiato, l’Ue nel panico. E se l’Fmi ripassasse lunedì prossimo, al posto di una valigetta di euro potrebbero forse dargli una vagonata di dracme.

Ma sicuramente non succederà. In questo complicato 30 giugno, c’è stato di tutto. Anche se, alla fine, non è successo (ancora) nulla: tra Bruxelles ed Atene, tra le capitali dell’euro, s’intrecciano messaggi, inviti al negoziato, appelli alla flessibilità. Bene o male, tra risse pubbliche e telefonate riservate, la Grecia e i partner dell’Ue si parlano e si scambiano messaggi e proposte. E, male che vada, l’Ue, la Bce e l’Fmi attenderanno l’esito del referendum di domenica, prima di tirare eventualmente le somme. Non induce alla flessibilità verso Atene lo studio di un prestigioso ‘think tank’, il Bruegel che dimostra come il rimborso del debito, di gran lunga il più oneroso dell’eurozona  in percentuale del Prodotto interno lordo, costa ad Atene appena poco più del 2% l’anno del Pil, contro oltre il 4% alla Spagna e il 5% all’Italia.

Nessuno ha fretta che la Grecia vada in bancarotta, anzi nessuno vuole che ciò succeda. Anche se Atene, in questa trattativa, ha molte ragioni, ma pure moltissimi torti: ha truccato per anni i conti e continua a fare il gioco delle tre carte. Il premier Matteo Renzi dice: “Non abbiamo tagliato le baby pensioni noi per lasciarle ai greci”. Il ministro PierCarlo Padoan assicura che l’Italia è solida e che non teme il contagio, ma nessuno ha voglia di sperimentare se e quanto ciò sia vero.

Da Bruxelles e da Atene, arrivano notizie di proposte e di contorproposte ‘last minute’. Dopo il giorno dello scambio di reciproche accuse tra il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker e il premier greco Alexis Tsipras sarebbe il giorno dello scambio di cartuccelle: Tsipras, che parla al telefono con Juncker e con il presidente della Bce Mario Draghi, chiede l’intervento del nuovo fondo salva Stati e una dilazione dei pagamenti.  Ma da Berlino, dove oggi sarà il premier Renzi, la cancelliera Angela Merkel blocca l‘ ‘ammoina’: “Fermi tutti fino al referendum”. Di lì si riparte, insieme o ciascuno per conto suo.

a scommessa di Tsipras di chiedere ai greci di pronunciarsi con il referendum – scelta più che legittima -, di farsi dire di no e di tornare rafforzato dal voto democratico al tavolo della trattativa potrebbe rivelarsi un azzardo mal calcolato: la vittoria dei no potrebbe semplicemente mettere la Grecia ‘fuori’, almeno dall’euro. “Se vince il no, si torna alla dracma”, dice Renzi. E il ritorno alla dracma non lo vuole nessun ad Atene, dove i cittadini, con la corsa ai bancomat, dimostrano di preferire cento euro oggi a un milione di dracme domani.

Le indiscrezioni in arrivo dalla Grecia migliorano al mattino l’umore dei mercati, che poi chiudono negativi. In Grecia le banche e la Borsa continuano a rimanere chiuse e ci sono voci di un irrigidimento sul controllo dei capitali in atto nel Paese. Ma c’è chi progetta di sfruttare la tensione e la paura di questi giorni per rilanciare l’integrazione: "Qualunque sia la soluzione –avverte Padoan- è indispensabile che l'Unione monetaria abbia un sussulto positivo di integrazione per metterla al riparo da problemi derivanti da shock … Le prime misure da prendere riguardano il completamento dell'Unione bancaria: senza la moneta comune non può funzionare bene".

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