Scritto per Metro dello 04/06/2015
Mi è sempre stato difficile capire
perché sarebbe stata una buona cosa l’ingresso della Turchia nell’Unione
europea. Per loro, che, del resto, a furia di essere tenuti lì sull’uscio
neppure vogliono più entrare. E per noi, che già sentiamo a darci un’identità
così diversi come siamo, latini e nordici, anglosassoni e slavi, e che faremmo
sempre più fatica in un’Unione senza confini.
Adesso, ho un motivo in più per
dubitare che questa Turchia, la Turchia del premier ora presidente Recep Tayyp Erdogan,
che rinnega la laicità della repubblica di Ataturk e che sposa l’islamismo, se
non l’integralismo, possa avere un posto nell’Ue. Anzi, mi sento quasi di
sostenere che non debba averlo.
Su istigazione del presidente Erdogan,
la magistratura turca, evidentemente non attenta al principio dell’indipendenza
dei poteri l’uno dall’altro, ha chiesto la condanna all'ergastolo per Can
Dundar, direttore del Cumhuriyet, un giornale d’opposizione, dopo la
pubblicazione il 29 maggio di foto di armi destinate a gruppi islamici in Siria
su camion scortati dai servizi segreti di Ankara, l’Mit.
L’iniziativa del presidente contro la libertà di stampa arriva
a pochi giorni dalle elezioni legislative e desta un'ondata di solidarietà
verso Dundar, da parte di giornalisti, intellettuali – come il Nobel per la
letteratura Pamuk -, politici all’opposizione. Ma la voce di critica dell’Ue
dovrebbe levarsi più forte di tutte, anche se pure dentro l’Unione vi sono
cattive condotte di questo tipo – il caso Ungheria su tutti -.
Venerdì, la procura di Istanbul aveva subito avviato un'inchiesta
per violazione di segreti di Stato; e lo stesso Erdogan aveva denunciato Dundar
per spionaggio, perché quelle rivelazioni imbarazzano il governo e ne svelano i
doppi giochi, avvertendolo che avrebbe pagato “un caro prezzo”: così, quel che
altrove sarebbe uno scoop, magari meritevole d’un riconoscimento, diventa un
delitto, nella Turchia illiberale dei giorni nostri.
E dire che per decenni, nel secondo dopoguerra, fin verso la fine del 20° Secolo, la Turchia è stata l’avamposto a Est dell’Occidente, terra di confine con l’Impero comunista e l’integralismo sciita della teocrazia iraniana. Neppure l’ascesa al potere di Erdogan fu subito percepita nei suoi rischi d’islamismo e di assolutismo. Ma ora i veli sono caduti: ai nostri confini, c’è uno ‘stato canaglia’. Che ne resti fuori.
E dire che per decenni, nel secondo dopoguerra, fin verso la fine del 20° Secolo, la Turchia è stata l’avamposto a Est dell’Occidente, terra di confine con l’Impero comunista e l’integralismo sciita della teocrazia iraniana. Neppure l’ascesa al potere di Erdogan fu subito percepita nei suoi rischi d’islamismo e di assolutismo. Ma ora i veli sono caduti: ai nostri confini, c’è uno ‘stato canaglia’. Che ne resti fuori.
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