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lunedì 29 giugno 2015

Grecia/Ue: tra risse verbali si cerca una “soluzione ponte”

Scritto per La Presse il 29/06/2015


Si lavora a una “soluzione ponte”, che consenta alla Grecia di guadare i cinque giorni tra la mezzanotte di domani, 30 giugno, quando diventerà insolvente nei confronti del Fondo monetario internazionale, e la sera del 5 luglio, quando si saprà se i greci avranno, o meno, detto sì al pacchetto di misure loro proposto dalle Istituzioni internazionali, in cambio della prosecuzione del piano di aiuti.

Un sì lascerebbe Atene nell’euro e nell’Ue. Un no la spingerebbe in default fuori dall’euro e magari pure dell’Ue. Ma perché la Grecia non affoghi nel guado, condizione essenziale è che l’Fmi non si presenti subito mercoledì ad esigere il suo credito. Fonti del Fondo lasciano sperare che ciò non avvenga.

E mentre scoppia una rissa verbale tra il premier greco Alexis Tsipras ed il presidente della Commissione europea Jean-Claude Juncker, di “soluzione ponte” parla il presidente del Parlamento europeo Martin Schulz. Le borse europee ci credono poco e chiudono tutte in profondo rosso, Milano addirittura a -5,17%, mentre lo spread è a 160. Anche l’Asia e New York vanno giù, mentre dollaro, yen e oro, beni rifugio, vanno su.

Se le parole di Tsipras e di Junker sono pietre, i leader dell’Eurozona in realtà lavorano sotto sotto a una soluzione, perché, afferma la cancelliera tedesca Angela Merkel, che riunisce a consulto i partiti tedeschi, “l’Ue non può abbandonare i valori della solidarietà e della responsabilità” ed è pronta “a negoziare ancora, se Tsipras lo vuole”: “Se fallisce l’euro – avverte la Merkel -, fallisce l’Ue”.

Il presidente Usa Barack Obama, che aveva ieri discusso con la cancelliera, telefona oggi al presidente francese François Hollande: l’America vuole un’Europa economicamente stabile e solida; e  teme che una Grecia slegata dall’euro e dall’Ue e disperata possa giocare la carta russa e legarsi a filo doppio, economicamente e politicamente, a Mosca. La Russia, dal canto suo, mostra una carità un po’ pelosa, esprimendo “preoccupazione” per le sorti dell’Ue. La Cina, invece, è sicura che la crisi non cambierà “lo status dell’Unione di potenza mondiale”.

Il premier italiano Matteo Renzi, che da Palazzo Chigi mantiene numerosi contatti, e che mercoledì sarà a Berlino, ‘twitta’ in inglese che il referendum non è un derby tra Esecutivo Juncker e Governo Tsipras, ma tra euro e dracma. E gli stessi greci paiono tifare euro: nella misura del possibile, dopo le restrizioni imposte dalle Autorità finanziarie, continuano a ripulire i loro conti, per non ritrovarsi il 6 luglio con montagne di svalutatissime dracme.

Se dietro le quinte qualcosa si muove, in scena è stallo, anzi scontro. Tsipras chiede tempo al presidente del Consiglio europeo Donald Tusk, Ue dice no a nuove proposte. Juncker replica, in conferenza stampa, agli attacchi di Tsipras, che domenica: accusava l’Ue di volere “soffocare la democrazia”.

Junker dice che il Grexit non è un’opzione, che l’eurozona deve restare a 19, che si vince o si perde tutti insieme. E, fin qui, tutto bene. Ma il presidente si sente “tradito” e ci va giù duro: “Nell’Unione, nessuna democrazia vale più delle altre … Le nostre proposte non sono uno stupido pacchetto d’austerità … Nel pacchetto non ci sono tagli delle pensioni e delle retribuzioni … Atene dica la verità e i cittadini sappiano qual è la posta in gioco … Egoismo e giochi populisti hanno prevalso … “.
Juncker così conclude: “Greci, votate sì e l’eco del vostro voto andrà oltre l’Ue”. Peccato che ci andrà pure se voteranno no, che sarebbe “un no all’Europa”.

E mentre s’avvicina la mezzanotte del 30 giugno e la domenica del referendum, lo spettro del rischio contagio torna ad aleggiare. La Bce è determinata; l’Italia è forte perché ha già fatto qualche riforma; la Grecia è appena il 3% dell’eurozona; ma, con un no greco, l’euro non apparirebbe più irreversibile e basterebbe uno scricchiolio a spaventare i mercati e scatenare la speculazione.

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