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mercoledì 3 giugno 2015

Is: cambio di strategia?, gli alleati a Parigi fanno solo chiacchiere

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 03/06/2015

Certo, non si possono accusare gli Stati Uniti e i loro alleati di mancare d’incoerenza sull’Iraq. Pochi giorni or sono, quando le milizie jihadiste prendevano senza colpo ferire Ramadi e, in Siria, entravano a Palmira, il presidente Obama e i suoi generali progettavano un cambio di strategia e denunciavano senza mezzi termini l’inefficienza del premier iracheno Haider al-Abadi e del suo esercito imbelle. Oggi, con le bande del Califfo accampate sulla strada di Baghdad, la loro capitale per circa 500 anni, fino alla metà del 13° Secolo, i Paesi della coalizione, riuniti a Parigi, riconfermano il sostegno ad al-Abadi e l’impegno contro le milizie, ma senza intervento di terra, cioè senza cambio di strategia.

Una fonte Usa dice: "Non cambieremo i fondamenti della nostra strategia, i raid aerei e il sostegno alle forze irachene, ma è cruciale che tutti in Iraq lottino contro il sedicente Stato islamico", il che, come sanno tutti, non avviene. Il ministro italiano Paolo Gentiloni spiega: “L'Iraq ci chiede di più, ma per i rifugiati e, sul piano militare, per training, armamenti, aiuti economici. La coalizione sa che lo scontro sul terreno è innanzitutto nelle mani degli iracheni". Eppure, al Pentagono, si calcola che le forze armate irachene (in passato uno degli eserciti più numerosi al mondo) contino da 4 a 7 divisioni in piena efficienza, per un massimo di 50 mila soldati.

In questo contesto, la conferenza di Parigi pare una recita a soggetto, in cui tutti dicono le battute del copione, ma nessuno ci crede. Il rischio, scrive su AffarInternazionali.it Roberto Iannuzzi, è che “l’Iraq sprofondi sempre più nel caos: in ballo non c’è solo la minaccia del Califfato, ma il rischio sempre più concreto del disfacimento dello stato iracheno”. Così come, in Siria, i margini di tenuta del regime di al-Assad si assottigliano.

La battuta d’arresto sulla via del cambio di strategia non può essere dovuta alla caduta di bicicletta, domenica, in Francia, del segretario di Stato Usa Kerry: ricovero a Ginevra, femore rotto, trasporto d’urgenza a Boston; così, alla ‘riunione dei volenterosi’ si presenta il suo vice, Anthony Blinken, Che segue le istruzioni: esalta la coalizione, “la soluzione migliore” contro le milizie jihadiste; promette ad al-Abadi nuovi aiuti, anche cannoni anticarro.

Il padrone di casa, il ministro francese Laurent Fabius, si rassegna ad ammettere che “la guerra sarà lunga” –e questo già lo sapevano-; il problema è che rischia di essere persa. Gli unici successi sono, di questi tempi, l’eliminazione, via droni Usa, di figure di spicco fra gli integralisti: domenica, sono stati fatti fuori il ‘regista’ dei video del sedicente Stato islamico e un presunto ‘documentarista’ d’origine americana.

Mentre a Parigi si celebrano gli stanchi riti della ritrovata intesa tra l’Iraq e i suoi alleati, una raffica d’attentati a Baiji, nella provincia di Salahudin, fa una trentina di morti e decine di feriti fra i soldati di al-Abadi. Invece, droni Usa colpiscono presunti terroristi in Pakistan e lungo il confine afghano, lontano dalla provincia di Herat dove, lunedì, il premier Renzi ha visitato le truppe italiane ancora impegnate su un fronte che doveva essere abbandonato a fine 2014.

Agli alleati, al-Abadi dice che i foreign fighters arrivano in Iraq sempre più numerosi per arruolarsi con i miliziani, afferma che il Califfato "continua ad avere sostegno anche perché vende petrolio e vestigia archeologiche", sostiene che per arginarne l’avanzata ci vuole anche una soluzione politica nella vicina Siria, dove lo Stato islamico è nato.

Ma quando Blinken contrappone “le vittoriose battaglie dei peshmerga curdi” ai rovesci ripetuti dell’esercito iracheno,  si sfiora l’incidente, perché i leader curdi denunciano d’essere stati esclusi dal governo di al-Abadi, uno sciita moderato con poca presa sulla minoranza sunnita del suo Paese.  E il premier cade nel patetico sostenendo che l’Iraq non soffre di divisioni tra le diverse comunità musulmane.

L’esercito del dopo Saddam, sostanzialmente sciita, ha una struttura clientelare e corrotta ed è percepita come un corpo estraneo nelle province sunnite, spesso non ostili agli jihadisti. Si stima che vi siano circa 23 mila ‘soldati fantasma’ sciiti a libro paga nella sola provincia di Al-Anbar. E l’assenza di divisioni a maggioranza sunnita rende una chimera la riconquista di città sunnite come Ramadi e Mosul.

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