Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/10/2016
Matteo Renzi sbarca a Washington nel giorno in cui
scatta l’offensiva su Mosul destinata a essere, nelle intenzioni di chi la
conduce, l’attacco finale al sedicente Stato islamico e la spallata decisiva
all'autoproclamato Califfo. Esercito iracheno e peshmerga curdi, appoggiati
dall’aviazione Usa, avrebbero sfondato le prime linee di difesa degli
jihadisti.
Le prime notizie sull'offensiva anti-integralisti
hanno il ritmo incalzante di una guerra lampo. Ma tutti sanno che l’attacco
sarà lungo, lento, cruento. Aleppo in Siria e Sirte in Libia danno la misura di
come prendere una città sia complicato e sanguinoso.
All'azione coordinata, partecipano 30.000 uomini, fra
cui commando delle forze speciali americane. Washington avverte: per la
conquista ci vorranno settimane o mesi. L’Onu considera a rischio l’intera
popolazione dell’area urbana, un milione e mezzo di persone, e denuncia il
possibile ricorso ai civili come scudi umani. Fattori etnici e religiosi
s’intersecano e aggiungono ferocia allo scontro: le unità irachene sono sciite,
gli jihadisti asserragliati sunniti, i curdi che avanzano più speditamente non
dovrebbero entrare in città.
Non c’è nesso di ‘causa effetto’ tra i due eventi,
l’arrivo del premier e i prodromi della riconquista della capitale del
Califfato in Iraq. Ma è un fatto che l’Italia è oggi presente militarmente ai
vertici del triangolo di crisi dell’Occidente: nei pressi di Mosul, un
contingente italiano di 500 uomini sta completando il proprio schieramento a
protezione della grande diga non lontana dalla città, la cui ristrutturazione è
affidata a una ditta italiana, la Trevi; in Libia, 300 uomini tra militari in
armi e medici e para-medici hanno appena allestito un ospedale da campo
sull'aeroporto di Misurata, base di partenza della riconquista di Sirte; e,
infine, sul fronte della nuova Guerra Fredda, 140 soldati stanno per andare a
integrare un avamposto della Nato ai confini con la Russia in Lettonia.
Gesti di coinvolgimento che hanno componenti
d’interesse nazionale, ma che sono anche pegni d’alleanza offerti agli Stati
Uniti, specie il drappello di uomini in Lettonia, in palese contraddizione con
la linea del dialogo con la Russia propria dell’Italia. Renzi, a Washington,
potrà farsene forte, magari evitando di approfondire le ambiguità, in ottica
atlantica, tra Roma e Mosca. Il Cremlino, intanto, annuncia che risponderà,
“anche in modo asimmetrico”, ad eventuali sanzioni decise da Usa ed Ue per
Aleppo.
La visita oggi del premier italiano alla Casa Bianca
è, per il portavoce del presidente Barack Obama Josh Earnest, "un'opportunità
per discutere una serie di sfide" con un "partner importante" e "ribadire
l'amicizia tra i due Paesi". Tra le sfide, Earnest elenca la lotta ai
cambiamenti climatici e all'inquinamento, le migrazioni, le crisi in Iraq (dove
sottolinea il ruolo italiano nell'addestramento delle forze locali), in Siria e
in Libia. E il portavoce ritiene che l’Italia dia “un contributo importante
alla stabilità economica e alla sicurezza dell’Europa”.
Di solito, quando due leader si incontrano, l’ultima
cosa cui si presta attenzione è la cena di gala che suggella, quando c’è, i
loro colloqui. Invece, stavolta si parla più della cena di gala che dei temi,
più del menù che dell’agenda. Renzi, che dice che l’Italia ha un problema di
autostima gigantesco, adolescenziale, la vede così: "Obama ha deciso di
dedicare l'ultima cena di Stato alla Casa Bianca del suo mandato all'Italia. Ci
andiamo con gioia come Italia, è un fatto bello indipendentemente dalle
opinioni sul governo". E ancora: "Da Obama è arrivato un gesto di
amicizia grande. Non ci saranno solo star e premi Oscar, ma anche personalità della
società italiana … Portiamo il Tricolore dentro la Casa Bianca, resterà nella
storia". Il premier, evidentemente, non ha il problema d’autostima del
Paese.
The Guardian scrive che Obama si prepara a “stendere
il tappeto rosso” per Renzi e ad offrirgli, come richiesto, sostegno in vista
del referendum, un voto oggi più incerto di quanto non appaia, negli Usa, la
vittoria di Hillary Clinton nelle elezioni presidenziali dell’8 Novembre.
Per il giornale, l’Amministrazione Obama vede nel governo italiano "il più importante ed esplicito campione" della relazione strategica fra Usa ed Ue, specie dopo il voto pro Brexit in Gran Bretagna e le tensioni con Germania e Francia sui fronti commerciale e del Datagate. Il Washington Post, invece, vede in Renzi 'il Justin Trudeau italiano’ - il premier canadese è l’attuale favorito della stampa liberal anglosassone -.
Per il giornale, l’Amministrazione Obama vede nel governo italiano "il più importante ed esplicito campione" della relazione strategica fra Usa ed Ue, specie dopo il voto pro Brexit in Gran Bretagna e le tensioni con Germania e Francia sui fronti commerciale e del Datagate. Il Washington Post, invece, vede in Renzi 'il Justin Trudeau italiano’ - il premier canadese è l’attuale favorito della stampa liberal anglosassone -.
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