Scritto per Il Fatto Quotidiano del 10/10/2016
Una domenica di maggio del 1918, un uomo di 49 anni
che passeggiava per le vie di New York insieme al figlio si sentì
improvvisamente male: portato a casa, messo a letto, il giorno dopo, Memorial
Day, 27 maggio, era morto. All'inizio, i medici pensarono a una polmonite fulminante.
Solo più tardi capirono che quell'uomo era una delle prima vittime
dell’epidemia di influenza che avrebbe fatto nei due anni successivi decine di
milioni di morti nel mondo, la spagnola.
Quell’uomo era Frederick, nato Friedrich, Trump, un
uomo d’affari americano d’origini tedesche dalla vita avventurosa e dalle
alterne fortune, sposato con Elizabeth Christ e padre di Elizabeth, Fred e John
G. Trump: era il nonno del candidato repubblicano alla Casa Bianca Donald Trump
(figlio di Fred).
Al momento della morte, Frederick possedeva una casa
su due piani, con sette stanze, nel Queens, quartiere di New York che la
famiglia aveva scelto per il proprio insediamento, cinque lotti di terra vuoti,
4.000 dollari in risparmi, 3.600 in azioni e 14 mutui – i dettagli vengono da
un libro del 2000 di Gwenda Blair -. Complessivamente, i suoi averi sono
stimati a 31.359 dollari, equivalenti a poco meno di mezzo milione di dollari
oggi.
In vita sua, c’erano stati momenti in cui era stato
più ricco. Ma non lasciava la famiglia sul lastrico. La moglie Elizabeth e il
figlio Fred portarono avanti la sua attività immobiliare, poi Fred vi associò a
sua volta il figlio Donald. Oggi, la rivista Forbes ha appena stimato la
fortuna dei Trump a 3,7 miliardi di dollari – ma l’estroverso candidato
sostiene che è di nove miliardi -.
La storia del nonno di Donald, che Ted Wimer ha
raccontato, giorni fa, su The New Yorker, facendoci rivivere, in un bellissimo
articolo, le atmosfere dell’epoca e le sensazioni d’un emigrato, può aiutare a
comprendere le radici e la mentalità del magnate e showman. Trump non fa
mistero dei propri forti legami familiari, specie con il padre che lo volle
presto accanto sul lavoro – il nonno non lo conobbe mai: era già morto da 28
anni quando lui nacque -.
Ma Donald è poco affidabile quando parla di se stesso
come quando fa comizi: confonde le acque, riferendo imprecisione sul cambio di
nome (da Drumpfs a Trump, ma avvenuto secoli prima dell’arrivo in America) e
sulle origini del casato (che sarebbe stato svedese, mentre risulta tedesco,
una famiglia di vignaioli del Palatinato le cui tracce risalgono al 1608). Le
radici svedesi possono essere state inventate dal nonno di Donald per evitare
la diffidenza degli americani verso i tedeschi già ai tempi della Prima Guerra
Mondiale.
L’articolo di Wimer, dal titolo “Un immigrato chiamato
Trump”, rende inoltre nette, in controluce, il contrasto fra la storia dei
Trump e le posizioni anti-immigrazione del candidato repubblicano.
Contrariamente alla stragrande maggioranza degli
emigrati di allora, che dicevano addio per sempre alla propria terra, Frederick
Trump fece più d’una volta la traversata atlantica.
La prima nel 1885, salpando
da Brema sulla Eider quand’era poco più d’un ragazzo – aveva 16 anni -. Al suo
paese, Kallstadt, all’epoca nel regno di Baviera, ma di lì a poco parte
dell’Impero tedesco, aveva imparato il mestiere di barbiere perché era troppo
malfermo di salute per andare a lavorare nei campi.
L’ultimo viaggio
transatlantico fu nel 1905, anche per sfuggire definitivamente all’accusa di
essersi sottratto in patria al servizio militare.
In realtà, lui, la prima volta, in America c’era
andato perché il padre, alla sua morte, aveva lasciato solo debiti. C’è chi
racconta che partì d’intesa con la madre e chi riferisce che se ne andò di
punto in bianco una notte, lasciandole un biglietto di saluto.
Negli Stati Uniti, Frederick aveva un punto
d’appoggio: la sorella Katharina, emigrata due anni prima con il marito a
Manhattan. A New York, fece il barbiere per sei anni, lavorando duro e mettendo
da parte un po’ di risparmi. Con cui, nel 1991, si trasferì a Seattle, dove
iniziò a gestire ristoranti e hotel, con annesse ‘case chiuse’ che rendevano
bene. Nel 1992, votò per la prima volta nelle elezioni presidenziali – era
ormai divenuto cittadino statunitense -.
A quel punto si fece attrarre dalla corsa all’ora,
prima nello Stato di Washington, poi lungo il fiume Klondike, nello Yukon, nel
Nord-Ovest del Canada, ai confini con l’Alaska, là dove fece fortuna Zio
Paperone. Frederick, però, non cercò mai l’oro: esercitava il suo spirito d’imprenditore
e uomo d’affari in vari modi, gestiva ristoranti e alberghi, spesso veri e
propri bordelli, nelle località che nascevano e morivano con la febbre
dell’oro; comprava, affittava e vendeva immobili e terreni.
Venne pure eletto
giudice di pace. Là dove un sacco di gente si rovinava, o restava senza un
soldo, esattamente com’era arrivata, lui s’arricchiva.
Abbastanza per tornare a Kallstadt nel 1901 con un
discreto gruzzolo: 80 mila marchi, l’equivalente di mezzo milione di dollari
oggi. Mise su famiglia, sposando la figlia del vicino, e l’anno dopo tornò a
New York, installandosi nel Bronx. I Trump tornano ancora a Kallstadt nel 1904:
vogliono restarci, ma la grana del servizio militare non si risolve; ripartono definitivamente
nel 1905.
Stavolta, scelgono il Queens e lì s’insediano: Frederick torna a fare
per un po’ il barbiere, ma poi riprende i suoi traffici, compra, vende,
gestisce hotel. La guerra frena la sua intraprendenza: non tira una buona aria
per gli immigrati tedeschi. Nonno Trump non vedrà la pace: il figlio Fred e il
nipote Donald porteranno avanti, con successo, il suo lavoro.
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