Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/10/2016
Questo è il periodo in cui è più facile trovare casa a Washington: capita
di sicuro ogni otto anni, talora ogni quattro. Merito, o colpa, dello spoils
system, che segna gli avvicendamenti al governo statunitensi da quasi due
secoli: cominciò a essere applicato nel 1820 e fu perfezionato nel 1865 da
Abramo Lincoln. Quando cambia il presidente, cambiano ministri e
sotto-segretari e tutti i dirigenti dell’Amministrazione pubblica; e spesso
pure gli incarichi di fiducia, segreterie comprese.
La squadra che era al comando lascia i posti liberi e se ne va, molto
spesso via da Washington: torna a casa o va altrove. Migliaia le famiglie
coinvolte. Quelli che devono partire lo sanno e si sono già preoccupati del
loro futuro: hanno dato disdetta della loro casa, se non l’hanno ormai liberata.
Quelli che li rimpiazzeranno, ancora non lo sanno e, comunque, non ne sono
certi: c’è un’elezione di mezzo e, anche solo per scaramanzia, nessuno blocca
per ora casa.
Così, fino all’8 novembre ci sono molti appartamenti sfitti e poca domanda,
specie a Georgetown o a Spring Valley, i quartieri più richiesti; e i prezzi
sono relativamente bassi. Dopo l’8 novembre, inizierà la carica dei subentranti
e i prezzi cominceranno a salire.
Lo spoil system passa attraverso tre fasi: l’individuazione dei candidati,
il loro vaglio – il ‘vetting’ – e, infine, il reclutamento. Tutto gestito,
almeno a livello politico, dal ‘transition team’. Hillary e Trump hanno già
allestito il loro. Quello repubblicano, guidato dal governatore del New Jersey
Chris Christie, sta al momento in panchina. Quello democratico, guidato dall’ex
ministro dell’Interno Ken Salazar, senatore del Colorado, sta già scaldandosi a
bordo campo.
Per chi aspira a un posto nella nuova Amministrazione, che si insedierà il
20 gennaio 2017, è l’ora di 'limare’ il CV e, soprattutto, di accertarsi di non
avere scheletri nell’armadio. A Washington, specie sulla K Street, la
strada dei consulenti e dei lobbisti, un esercito di esperti, avvocati,
commercialisti e guru, lavorano con parcelle da capogiro, fino a 1000 dollari
l’ora, scrive Politico, per controllare passato e presente di potenziali
consiglieri, candidati giudici e di chiunque ambisca ad un incarico, fosse
anche un posto di segretaria.
Le verifiche investono le finanze, il fisco, la fedina penale e pure la
vita privata di ogni candidato. E il ‘vetting’ è implacabile: che siate il
futuro vice-presidente o un giornalista che vuole accreditarsi alla Casa Bianca
– nel giro di pochi giorni, riceverete a casa la visita di un agente dell’Fbi,
che avrà pure avuto cura di parlare con i vostri vicini -.
Le cronache raccontano che nel 1993 l’appena eletto presidente Bill Clinton
scelse Zoe Baird come ministro della Giustizia; ma saltò fuori che Zoe aveva
pagato in nero una collaboratrice domestica immigrata irregolare. E nel 2005 il
presidente Bush, appena rieletto, cercava un nuovo responsabile per la
sicurezza nazionale, al posto di Tom Ridge: scovò a New York un super-poliziotto
che faceva paura solo a vederlo e che era stato in Iraq dopo l’invasione,
Bernard Kerik. Ma gli si scoprirono subito un sacco di magagne: lui si ritirò e
diede in pasto alla stampa una baby sitter ‘alla Baird’, ma finì sotto processo
e pure in prigione.
Proprio per evitare intoppi in extremis, che stingono sulla credibilità della nuova Amministrazione, sulla K Street ci si porta avanti, per essere poi pronti a compilare il questionario da circa 100 pagine preparato dalla 'transition team’ per ogni candidato di peso. Ogni presidente ha le sue fisime: Obama faceva chiedere conto dell’uso di marijuana in gioventù e di possibili foto imbarazzanti postate su Facebook.
Proprio per evitare intoppi in extremis, che stingono sulla credibilità della nuova Amministrazione, sulla K Street ci si porta avanti, per essere poi pronti a compilare il questionario da circa 100 pagine preparato dalla 'transition team’ per ogni candidato di peso. Ogni presidente ha le sue fisime: Obama faceva chiedere conto dell’uso di marijuana in gioventù e di possibili foto imbarazzanti postate su Facebook.
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