Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e per EurActiv.it il 30/06/2014
Né una vittoria, né una sconfitta. Solo fuffa. Eppure,
le conclusioni del Vertice europeo del 26 e 27 giugno sono subito diventate,
alla vigilia della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Ue, terreno
di scontro tra il governo, che le presenta come un successo che apre margini di
flessibilità all’Italia, e l’opposizione, che le legge come una disfatta che
condanna l’Italia, di qui a pochi mesi, a un’ulteriore ennesima manovra.
In realtà, il Vertice europeo è stata la solita
manfrina del tutti insieme al minimo comune denominatore, mascherando le
differenze dietro la genericità delle formule. Senza volere dimenticare il
balletto delle bozze, con l’arretramento – ed è solo un esempio - tra “il pieno
uso” ed “il buon uso” dei margini di flessibilità previsti da Trattati e
impegni esistenti.
Leggetevi,
anzi leggiamoci, il comunicato ufficiale del Vertice sull’ “agenda strategica
dell’Unione in una fase di cambiamento”: “Il Consiglio europeo ha concordato cinque
priorità a lungo termine che guideranno il lavoro dell’Ue nei prossimi cinque
anni: economie più forti e più posti di lavoro; società capaci di consentire ai
cittadini di realizzarsi e di proteggerli; un futuro sicuro per l’energia e per
il clima; un’area affidabile di libertà fondamentali; un’azione congiunta
efficace nel Mondo”.
Ora, quale sarebbe il governo o l’Istituzione che
non sottoscrive obiettivi del genere?, e in che modo averli accettati e
condivisi può costituire una vittoria o una sconfitta?
Presentando, oggi, a Roma, il programma della
presidenza di turno lettone del Consiglio dell’Ue, che seguirà quella italiana,
il ministro degli esteri di Riga Edgars Rinkevics, ormai un veterano dell’Unione, s’è quasi schermito nel citare la prima priorità, crescita e occupazione,
riconoscendo l’inevitabilità, e nel contempo la ritualità, di quella che è
diventata una sura laica.
Forse, piuttosto che fare esercizi di real politik
gabellandoli per passi avanti o, peggio, svolte, è meglio immergersi in
esercizi, magari visionari, ma stimolanti, per immaginarci l’Europa come
davvero la vorremmo. E’ quello che ha provato a fare l’Istituto Affari
Internazionali, con il progetto –appunto- ‘Imagining Europe’, le cui
conclusioni sono state appena presentate a Roma.
Al posto di mettere pecette, lo studio dello IAI,
l’Istituto creato da Altiero Spinelli, che proprio oggi ‘presta’ il suo
presidente, l’ambasciatore Ferdinando Nelli Feroci, alla Commissione europea
come membro italiano, si chiede “quali modelli di governance possano riparare
il danno” fatto all'integrazione europea dalla crisi economica e dalla risposta
datale da Istituzioni e governi.
Se l’obiettivo è davvero promuovere “nei decenni a
venire un’Unione più coesa ed efficace e meglio legittimata”, bisogna esplorare
traiettorie di governance in cinque aree specifiche: le finanze pubbliche e la
moneta comune; l’immigrazione e la cittadinanza; la sicurezza e la difesa; le
infrastrutture e le comunicazioni; l’energia e l’ambiente.
Se non si vogliono sprecare i prossimi cinque anni,
l’agenda strategica adottata da Van Rompuy e dai suoi sodali non può fare da
bussola: ci lascerebbe girare in tondo, come una trottola. Meglio avere una
visione, piuttosto che un’agenda, a rischio di perdere per strada qualche pezzo,
ma aumentando la coesione, approfondendo l’integrazione, esaltando la
democraticità delle istituzioni e, quindi, delle scelte.