Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/06/2014
Sette mesi dopo, centinaia di
vittime dopo, centinaia di migliaia di rifugiati dopo, e dopo mutazioni
geo-politiche probabilmente irreversibili, il filo dei rapporti tra Ue ed
Ucraina torna a dipanarsi lungo i percorsi bruscamente interrotti a Vilnius, il
29 novembre. Allora, Kiev voltò le spalle all'Europa e guardò alla Russia;
oggi, sceglie l’Europa, senza essersi ancora sdoganata dalla Russia.
E una firma, al di là della
retorica diplomatica di queste cerimonie, non cancella la storia. Poco prima
d’avallare il patto con Ucraina, Georgia, Moldova, i leader dei 28 avevano
commemorato, davanti a un mare di croci bianche nell'erba verdissima di Ypres, le
vittime della Grande Guerra, cento anni or sono: il fronte di quel conflitto,
come quello della Seconda Guerra Mondiale, attraversò l’Ucraina, terra di
confine tra imperi, etnie, religioni, visioni della società.
La rottura di Vilnius innescò la
rivolta contro il presidente e il governo legittimi, ma filo-russi, fino al
loro rovesciamento. La primavera è stata di sangue e di violenze, sull'orlo di
una guerra civile: con un referendum contestato, la Crimea è tornata alla
Russia; le regioni dell’Est hanno proclamato la loro secessione; ci sono stati
scontri e perdite fra i regolari e gli insorti, con le truppe russe spesso
schierate minacciose lungo il confine. E il conflitto è stato pure diplomatico,
economico, soprattutto energetico: un’aria di Guerra Fredda che non si
respirava più da un quarto di secolo.
La firma dell’accordo di
associazione con l’Ue non scioglie tutti i nodi nel triangolo delle relazioni
euro-russe-ucraine: economia ed energia restano capitoli aperti. Ma apre
spiragli di trattativa, anche se i toni dono più da ultimatum che da
distensione . Kiev prolunga di 72 ore, fino a lunedì il cessate il fuoco con i
filo-russi per dare più chance all'avvio di un negoziato. E i leader dei 28 danno
tempo sempre fino a lunedì a Mosca per cogliere l’opportunità, pena l'adozione
di nuove sanzioni mirate. Ma se la
Merkel giudica “insoddisfacente” l’atteggiamento russo,
Hollande dice esplicitamente che nessuno vuole inasprire il confronto.
L'Ue chiede, in particolare, che la Russia accetti il controllo
dell'Osce sulla cessazione delle ostilità e "l’effettivo controllo della
frontiera" russo-ucraina; la restituzione alle autorità ucraine dei
valichi di confine controllati dai filo-russi; il rilascio di tutti gli
osservatori Osce e degli altri ostaggi; e, infine, l'avvio di trattative
sostanziali sul piano di pace presentato del presidente Poroshenko. Che manca
d’originalità, ma non lesina parole e aggettivi: parla di “giornata storica”,
addirittura “la più importante dall'indipendenza” acquisita nel 1991, dal
dissolvimento dell’Unione sovietica; e pure d’un passo “verso l’adesione”
all’Ue.
A Mosca, c’è meno voglia di
parlare e ben poco da festeggiare. Il pendolo dell’Ucraina, come già avvenne
nel 2004, con la rivoluzione arancione, oscilla verso l’Unione. Una volta, è
già tornato indietro, verso la
Russia. E non è escluso che lo rifaccia.
Le reazioni ufficiali
sono fredde, quasi gelide: l'intesa Ue-Ucraina porterà "serie
conseguenze", avverte Grigory Karasin, vice-ministro degli Esteri, sottolineando
la necessità di evitare "incomprensioni e sospetti". Dmitry Peskov,
portavoce di Putin, fa sapere che Mosca "adotterà misure del caso”, se
l’accordo dovesse comportare "effetti negativi per l’economia russa".
E Putin descrive una società ucraina "spaccata" da un "confronto
interno doloroso" e chiamata a scegliere tra Ue e Russia.
Il dialogo con l’Occidente resta,
comunque, aperto: i responsabili degli esteri di Washingtone Mosca Kerry e
Lavrov si parlano al telefono; e il ministro degli Esteri italiano Mogherini
progetta missioni in Ucraina e in Russia, non appena assunta –il 1° luglio, la
presidenza del Consiglio dell’Ue.
La
proroga del cessate il fuoco è un ammiccamento di Poroshenko a Putin, che aveva sollecitato una tregua a lungo termine per
favorire l'avvio di colloqui di pace tra Kiev e i ribelli. Ma le notizie dal terreno restano
tragiche: nell’est dell’Ucraina, si continua a combattere. I ribelli hanno tra
l'altro preso una base militare a Donetsk, facendone prigioniero il comandante,
e un posto di blocco presso Kramatorsk, uccidendo quattro governativi e
ferendone cinque.
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