Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/06/2014
L’avanzata
jihadista verso Baghdad rimescola rancori
atavici, in una delle regioni del pianeta più divisa e dilaniata da odi
religiosi e contrasti d’interessi. La contrapposizione tra le due grandi
componenti dell’islam, sciiti e sunniti, s’intreccia con strategie dinastiche,
visioni nazionalistiche e corse ai pozzi di petrolio.
E gli Stati Uniti rischiano di
trovarsi al fianco dell’Iran, nel tentativo di sbarrare la via di Baghdad ai
miliziani qaedisti dello Stato islamico dell’Iraq e del Levante (Isis). Teheran
ha ieri ribadito l'impegno a combattere il "terrorismo sunnita" e ad
impedire a Paesi stranieri “d’esportare il terrore in Iraq”, superando le
diffidenze spesso nutrite in passato per il nazionalismo degli sciiti iracheni.
Il presidente iraniano Rohani ha
telefonato al premier iracheno al Maliki. E tutto il mondo sciita iracheno si
mobilita, paventando il ritorno a una nuova dittatura dalla minoranza sunnita, stavolta
non fondamentalmente laica, come ai tempi di Saddam Hussein, ma guidata dai
fanatici dell'Isis. Uno dei maggiori esponenti del clero sciita, l'ayatollah
Ali al Sistani, chiama il popolo “a prendere le armi in difesa del Paese e dei
luoghi sacri”. Ma si ha pure notizia di defezioni in massa di sunniti dalle
forze armate.
L’Iran,
tramite gli Hezbollah, che dal Libano tengono sotto tiro Israele, appoggia in
Siria il regime di al Assad, un alauita, esponente d’una setta in odore
d’eresia, ma d’estrazione sciita.
A
sud dell’Iraq, l’Arabia saudita, la cui casta al potere è sunnita, antepone la
tutela dello statu quo e degli interesse petroliferi alle considerazioni
religiose: è fermamente anti-jihadista e, in Egitto, nega l’appoggio ai
Fratelli Musulmani. Fra gli Stati del Golfo, le cui dinastie sono tutte
sunnite, il Qatar sfida i sauditi: in Siria, arma l’opposizione ad al Assad e
pure i miliziani qaedisti.
Un
ruolo l’ha pure la Turchia ,
al cui presidente Erdogan c’è chi presta un disegno politicamente egemone su tutto
l’Islam, quasi la rifondazione dell’Impero Ottomano: Ankara, come il Qatar,
foraggia i miliziani siriani, pur temendo l’esodo dei curdi siriani; e, ora,
incoraggia i curdi iracheni a
conquistare i campi petroliferi intorno a Kirkuk, la loro capitale storica.
In
questo intreccio di tensioni e rivalità, muoversi è difficile. Il presidente
Usa Barack Obama ribadisce che non
invierà "truppe in Iraq", ma valuta diverse opzioni per sostenere,
anche militarmente, il governo iracheno. Obama, però, cerca pure di scuotere
l’inetto al Maliki: lo spinge a fare scelte mai fatte per dieci anni, mettendo
“da parte le divisioni settarie (sciiti-sunniti)". E Kerry, il segretario di Stato, avverte
che l'avanzata jihadista è una minaccia non solo per la regione, "Iran
compreso", ma per l'Occidente.
Secondo
la Cnn ,
Washington starebbe spostando Golfo
Persico la portaerei a propulsione nucleare George H. W. Bush –il padre, non il
figlio: l’uomo che liberò il Kuwait, ma non invase l’Iraq-. Lunga 332 metri , l’unità della
classe Nimitz trasporta 90 tra caccia-bombardieri ed elicotteri.
L’emergenza
militare innesca quella umanitaria: mezzo milione di sfollati a Mosul, decine e
decine di migliaia in fuga dalle altre città cadute o dove si combatte. L’Isis
ha ieri preso Sadiyah e Djalaoula,
nella provincia di Diyala, nell'Iraq orientale, e alcuni villaggi sui monti
Himrine. Vicino a Baquba, 60
km appena da Baghdad, esercito e miliziani di sanno
battaglia. Centinaia di americani che lavorano nel centro-nord dell'Iraq sono
stati trasferiti a Baghdad.
L'offensiva jihadista è segnata da
esecuzioni sommarie: l'Onu da Ginevra cita l'uccisione per strada a Mosul di 17
civili che lavoravano per la polizia e di 12 agenti. Si parla di "centinaia
di persone uccise e di un migliaio di feriti", ma le informazioni non sono
confermate.
Le tensioni in Iraq spingono su il prezzo del petrolio e l’oro e potrebbero frenare una ripresa appena accennata.
Le tensioni in Iraq spingono su il prezzo del petrolio e l’oro e potrebbero frenare una ripresa appena accennata.
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