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giovedì 12 giugno 2014

Iraq/Siria: armi e corano, il ritorno del Califfato

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/06/2014

E c’era chi li credeva confinati alle Mille e Una notte e alla favola della Lampada di Aladino. Armi e corano in mano, i califfi sono tornati. Nulla, o quasi, a che spartire con le corti, spietate al’occorrenza, ma colte e raffinate, dei loro predecessori, i successori del Profeta, a Damasco e a Baghdad, al Cairo e a Istanbul. Il tratto comune è la coincidenza del potere temporale e di quello spirituale: quel che è di Cesare è di Dio.

Ultimo atto della guerra infinita tra le due componenti dell’Islam, gli sciiti e i sunniti, nasce, lungo le rive dell’Eufrate, tra Siria e Iraq, un califfato jihadista, nelle regioni sotto controllo dei miliziani dell'Isis, lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante. Confrontato con quelli del passato, al tempo dell’espansionismo arabo, è un mini-califfato transnazionale, instaurato sulla polvere insanguinata del post invasione americana in Iraq e della guerra civile in Siria.

Negli ultimi giorni, l’offensiva dell’Isis in Iraq è stata tumultuosa e sanguinosa: 30 mila miliziani integralisti tengono in scacco il Grande Medio Oriente e allarmano il Mondo. Le grandi diplomazie sciorinano le loro litanie; negli Usa, c’è chi teme che lo scenario iracheno si ripeta in Afghanistan.

Martedì, gli uomini dell’Isis hanno preso Mosul, a nord, seconda città del Paese –nel luglio 2003, qui furono uccisi, in un conflitto a fuoco con le truppe americane, due figli di Saddam Hussein, Uday e Qusay-, quasi tutta la provincia di Ninive e parte di quella di al-Ambar, in pratica la fascia di confine con la Siria.

Ieri, sono entrati a Tikrit, la città natale del rais impiccato; e si sono spinti a sud-est, occupando aree della provincia di Kirkuk, dove hanno ucciso 15 agenti iracheni fermati martedì, e a sud, prendendo Ash Sharqat, provincia di Salahuddin. Gli jihadisti, inoltre, controllano, dall'inizio dell'anno, la città di Falluja, una sessantina di chilometri a ovest di Baghdad, teatro nel 2004 della battaglia forse più sanguinosa dell’invasione, e quartieri di Ramadi.

Da Mosul, è in atto un esodo: mezzo milione di persone, un terzo della popolazione, lasciano le loro case. Il consolato turco è stato assaltato, il console e decine di cittadini turchi sono in ostaggio.

In Siria l'Isis controlla Raqqa, l'unico capoluogo di provincia sottratto alle forze lealiste, e occupa vaste aree della provincia orientale di Deyr az Zor.

La gravità della situazione induce a coalizzarsi contro i qaedisti il regime di Damasco e l'Esercito Libero Siriano, la coalizione laica e sunnita moderata che si batte per rovesciarlo. In Iraq, il premier al-Maliki, un sopravvissuto all’invasione, dichiara lo stato d'emergenza e annuncia che il governo armerà volontari contro i miliziani. L’imam sciita al Sadr vuole ‘unità di pace’ per difendere i siti religiosi musulmani e cristiani.

Il progetto del califfato è un elemento di richiamo per tutti i sunniti legati, o ispirati, all’integralismo di al Qaeda. In Nigeria, Boko Haram persegue il disegno di eliminare la presenza cristiana, rovesciare il governo federale e ricreare un califfato islamico, che esisteva nel Nord del Paese prima della conquista britannica del 1903. Il gruppo oltranzista islamico, fondato nel 2002 dallo sceicco Yusuf, combatte tutto ciò che è occidentale -dalle elezioni ai vestiti- e vuole ripristinare una sharia senza compromessi con la modernità.

E a un califfato islamico a sud del Sahara, inizialmente tra Algeria e Mali, con capitale Timbuctu, puntavano pure i guerriglieri jihadisti che, all’inizio del 2013, uscirono dai loro santuari e cominciarono ad avanzare verso Bamako, fin quando l’intervento francese non li fermò e risospinse i superstiti di nuovo a Nord, al limite del deserto.

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