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domenica 15 giugno 2014

Iraq: Usa, tentazione di santa alleanza sciita anti al Qaeda

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/06/2014

Di restarci impantanato, Barack Obama non ha nessuna intenzione: Ma non può neppure accettare la prospettiva di ritrovarsi, alla fine della sua presidenza, con due jihadistan là dove gli Stati Uniti avevano, al suo ingresso alla Casa Bianca, una presenza militare da potenza occupante. Né è facile da digerire politicamente l’alternativa di accettare un’alleanza ‘contro natura’ con l’Iran sciita: l’America diventerebbe coprotagonista di una guerra di religione nel cuore dell’Islam, ‘tradendo’, per di più, i suoi alleati più solidi e più fidati nella Regione, in primis l’Arabia saudita, anti-jihadista, ma sunnita.

La crisi in Iraq diventa incubo nel giorno in cui il ballottaggio presidenziale mostra tutta la fragilità della situazione afghana: almeno 246 gli attacchi talebani ‘censiti’ da Kabul, con numerose vittime nel giorno del voto. E’ aleatorio pensare che il Paese regga dopo che gli americani e i loro alleati si saranno ritirati, a fine anno. Anche se lì gli Stati Uniti lasceranno un contingente, diversamente da quanto avvenuto in Iraq.

La soluzione ideale, o almeno meno scomoda, per Obama e per l’Occidente, sarebbe che il premier al Maliki, forte dell’appoggio iraniano, riscatti un decennio d’ignavia e ricacci le milizie qaediste dalla Valle del Ninive. Ma anche questo scenario sarebbe gravido di conseguenze sugli equilibri della Regione.

In questo contesto, appare ottimista l’analisi del ministro degli esteri italiano, Federica Mogherini, secondo cui è possibile immaginare un nuovo assetto di tutta l’area, in cui l’Italia avrebbe un ruolo da giocare. Per il momento, l’offensiva jihadista poteva essere prevista, ma non lo è stata.

Militarmente, la Casa Bianca spera di cavarsela con il minimo sindacale: l’invio di droni, che, però, devono ancora dimostrarsi efficaci per arrestare l’avanzata di un esercito, per quanto irregolare, ed eventualmente raid aerei contro lo Stato islamico dell'Iraq e del Levante (Isis). Per renderli possibili,  Washington può contare su un’imponente panoplia di forze aero-navali nel Golfo Persico.

Infatti, con l'invio della portaerei nucleare George H. W. Bush e del suo gruppo navale, dove ci sono l'incrociatore lanciamissili Philippine Sea e il cacciatorpediniere lanciamissili Truxtum, sono ora due le grandi unità della classe Nimitz in quelle acque. La Bush ha raggiunto l'unità gemella Harry Truman, di stanza a Manama in Barhein dove ha sede il comando della V Flotta. Le due navi sono lunghe 332 metri e trasportano 6.000 militari e fino a 80 caccia-bombardieri, oltre a una decina di elicotteri.

Nel Golfo, ma in Qatar c'è anche la grande base aerea della Us Air Force Al Udeid, poco fuori Doha, con decine di caccia-bombardieri e aerei di diverso tipo e un totale di 10.000 uomini.

Le cronache dal terreno di sabato sono contraddittorie. Il presidente iraniano Rohani ha spedito a Baghdad un generale della guardia rivoluzionaria e ha ribadito la disponibilità di Teheran ad aiutare Baghdad. E al Maliki ha fatto appello all’orgoglio sciita, “Non saremo mai sconfitti”, mentre i media annunciavano una controffensiva da Samarra e l’invio di truppe di élite per riconquistare Mosul.

L’avanzata delle milizie dell’Isis verso Baghdad pare frenata, se non arrestata, con cenni di riscossa degli sciiti nell’area di Muttassim sulla via della capitale. Nella contesa Tikrit, le forze di sicurezza avrebbero ‘giustiziato’50 ex baathisti, il partito sunnita del regime di Saddam Hussein. E, al confine con la Siria, un’esplosione avrebbe ucciso una trentina di “terroristi”. A Kirkuk, presa dai curdi, fonti cristiane parlano di “guerra civile”. E l’Onu aggiorna i dati dell’emergenza umanitaria: sono già un milione gli sfollati.


Il quadro è tragico. Ma Obama cade lo stesso nella trappola del golf: come Bush, e prima Clinton, va a farsi qualche buca, mentre il mondo brucia. E i critici, non solo repubblicani, lo sbranano.

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