Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/06/2014
Le milizie jihadiste dell’Isis intensificano la guerra di
conquista, mentre il segretario di Stato Usa Kerry, in visita a Baghdad,
definisce la loro avanzata una “minaccia essenziale” per il Paese, che rischia
di andare in pezzi tra sciiti, sunniti e curdi.
L’offensiva degli insorti dello Stato islamico dell’Iraq e
della Siria non è sistematica: le milizie non puntano sulla capitale, ma
consolidano il controllo d’un vasto territorio a cavallo tra Siria e Iraq; ed
evitano di offrirsi come bersaglio ai raid aerei, concentrando uomini e mezzi
in luoghi vulnerabili.
Le cronache di ieri dicono che gli integralisti sunniti si
sono impadroniti, nella provincia di Ninive, di TalAfar, già presa e
abbandonata nei giorni scorsi, e del suo aeroporto e d’un posto di frontiera
–il secondo- con la Siria.
Nel week-end, le milizie avevano preso tre centri della
provincia di al-Anbar, che si stende anche in Siria e in Giordania, altro Paese
vulnerabile al contagio jihadista.
Dopo un incontro con il premier al Maliki, che l’Amministrazione
statunitense vorrebbe scaricare, Kerry ha invitato i dirigenti iracheni “a
prendere decisioni”. Al potere dal 2006, al Maliki è criticato per la sua
politica confessionale pro-sciiti, che carica d’odio e di rivendicazioni
l’offensiva sunnita.
Kerry, che domenica era in Egitto a testimoniare, con lo
sblocco di aiuti e la fornitura di 10 Apache, l’appoggio al regime del
presidente al Sisi, nega responsabilità americane nell’attuale crisi, anche se
a Washington c’è chi gliele contesta. L’appoggio Usa all’Iraq –dice il
segretario di Stato, che ora va a Bruxelles e Parigi- sarà “intenso e
sostenuto”, ma sarà “efficace” solo se i dirigenti iracheni supereranno le
posizioni settarie e “prenderanno misure per riunire il paese”.
Al Maliki alza il tono, parla di una minaccia “per la pace
della regione e del mondo”, ma non fa cenno a quel governo d’unità nazionale,
che gli Usa e pure l’Ue si aspettano e gli sollecitano.
Dopo le legislative di aprile, l’Iraq non ha ancora un
governo, perché al Maliki, che ha ottenuto una maggioranza relativa, non riesce
a formare una coalizione. E gli jihadisti controllano grandi città come Mosul,
la seconda del Paese, e intere province. La loro avanzata è favorita
dall’inefficienza d’esercito regolare e apparati di sicurezza, dove si
registrano molte defezioni di elementi sunniti.
Il presidente Obama ha inviato marines a protezione
dell’ambasciata e consiglieri militari, ma ha per ora escluso raid aerei,
deludendo sia Baghdad che Teheran, grande protettore dell’Islam sciita.
L’avanzata delle milizie è contrassegnata da episodi
criminali. Per il regime, "centinaia di
soldati sono stati decapitati o impiccati” nelle zone sotto l’Isis. E sarebbero
stati rinvenuti 70 detenuti uccisi, dopo che s’era avuta notizia di esecuzioni
a Rawa e Aana. Gli insorti, infine, starebbero procacciandosi mogli nei
territori occupati: un ratto delle Sabine 2.750 anni dopo, oggi come allora per
assicurare conforto e prole a una banda di energumeni violenti e determinati.
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