Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano lo 08/06/2014
Proprio dove, 70 anni or sono, cominciava a finire la
Seconda Guerra Mondiale, forse è cominciata la fine della seconda (breve)
Guerra Fredda: gli incontri in Normandia, al ‘Vertice dello Sbarco’, nell’anniversario
del D-Day, possono avere segnato una svolta nella crisi ucraina, il punto più
basso nelle relazioni Usa/Russia, anzi Occidente/Russia, dal crollo del Muro e
dal disfacimento dell’Urss.
Il ‘Vertice dello Sbarco’ –una ventina i capi di Stato o di
governo presenti sulle spiagge rimaste celebri con i loro nomi in codice, da
Omaha a Utah, da Juno a Sword- è stato, diplomaticamente, molto più importante
della pantomima punitiva del G7 di Bruxelles –sostitutivo del G8 a Sochi sotto
presidenza di turno russa-, dove i Grandi non hanno preso nessuna decisione di
rilievo, né sull’Ucraina né sull’economia.
Anzi, i leader dei
Grandi europei –Hollande, la Merkel, Cameron- ne sono venuti via in tutta
fretta, quasi mollando Obama per andare a incontrare Putin a Parigi o sulla via
della Normandia. E Renzi? Lui era l’eccezione: in Normandia, c’è andato
Napolitano.
Il presidente russo, che riesce a essere protagonista anche
da assente, ha pure visto il presidente ucraino Poroshenko –in presenza della
Merkel- e poi lo stesso Obama: contatto non previsto (e replicato). Putin,
magari calcando la mano, ha parlato di colloqui “sostanziali” e ha definito
“positivi” nel loro insieme gli scambi con i leader occidentali. Obama è stato
più discreto.
Rispetto al venerdì in Normandia, con il reciproco impegno
russo ed ucraino a cessare le violenze, la giornata di ieri a Kiev, con
l’insediamento di Poroshenko, è stata meno serena, è parsa un passo indietro:
il presidente ha giurato di tenere unito il Paese diviso, ha respinto ipotesi
di compromessi sulla Crimea e ha ribadito l’orientamento filo Ue. E, intanto,
nell’Est gli scontri tra truppe regolari e milizie filo-russe facevano vittime,
mentre i ribelli dimostravano ancora una volta d’essere agguerriti e
abbattevano di nuovo elicotteri governativi –tre in un sol giorno-.
Passate la festa e le cerimonie, adesso è un momento della
verità: Kiev e Mosca devono parlarsi davvero, della situazione nell’Est
dell’Ucraina, di Crimea, anche di energia. Putin, che non ha dato troppo peso
al referendum indipendentista degli insorti filo-russi, deve riconoscere
Poroshenko –lo ha già fatto sostanzialmente incontrandolo-; il governo ucraino
deve congelare l’offensiva militare; i ribelli filo-russi rinunciare a
ulteriori provocazioni… Quanto alla Crimea, difficile immaginarne un ritorno
all’Ucraina.
Arrivando in Europa e incontrando a Varsavia i leader dei
Paesi dell’Europa orientale, prima di G7 e ‘Vertice dello Sbarco’, Obama aveva loro
ribadito l’impegno alla protezione americana, del resto sancito dall’adesione
alla Nato. Ma l’Alleanza con l’America e il timore della Russia non possono
sfociare in una contrapposizione da secondo dopoguerra, che incrinerebbe la
serenità economica – già compromessa dalla crisi -, oltre alla sicurezza globale.
Gli europei stanno con Obama e daranno una mano a
Poroshenko, ma non vogliono certo rompere con Putin, né possono oggi rinunciare
all’energia russa, specie l’Italia, la Germania, i Paesi dell’Est dell’Ue. Il
gas –promesso- americano è lontano almeno quanto la vendita di quello russo ai
cinesi: in un caso e nell’altro, c’è di mezzo la creazione di enormi
infrastrutture che oggi mancano. Che russi, ucraini, europei si parlino e
s’intendano è interesse comune. Gli Usa ci mettano diplomazia, piuttosto che
armamenti.
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