http://www.europinione.it/lo-stato-del-giornalismo-italiano-intervista-giampiero-gramaglia/
D - Cosa pensa del boom dell'informazione via web e dell'aumento esponenziale di fonti d'informazione, spesso anche approssimative o addirittura fuorvianti, per non dire peggio. Crede che l'Unione europea, e soprattutto l'euro siano stati le prime vittima illustri di questa nuova informazione/disinformazione? Pensa che se la situazione dell'Europa odierna si fosse vissuta 30 anni fa, le cose sarebbero state diverse, dal punto di vista dei cittadini?
D - Sulla base della sua esperienza, che l’ha vista anche alla direzione dell’Ansa, quali sono i principali punti di debolezza del giornalismo italiano oggi, non solo da un punto di vista editoriale, ma anche del trattamento delle notizie da parte dei giornalisti?
R - L'informazione italiana, rispetto a quella anglosassone in generale e di altri Paesi confrontabili all'Italia per tradizione e cultura, ha elementi di debolezza indubbi, editoriali e industriali. Io, però, preferisco soffermarmi su quelli che sono gli elementi di debolezza più giornalistici: l'informazione italiana è sovente approssimativa, non di rado inattendibile, spesso dilatata, quasi sempre più preoccupata di ottenere l'approvazione della fonte più che la soddisfazione del lettore -o equivalente-, tendenzialmente incapace di tenere separati fatti e opinioni e, infine, decisamente autoreferenziale e poco incline a riconoscere -e ancor meno a correggere- i propri errori... Il declino del seguito e dell'autorevolezza dei maggiori media tradizionali va letto anche in questa ottica, al di là dell'impatto, indubbio e importante, dei new media e dell'evoluzione delle abitudini di informarsi dei fruitori.
D - Negli ultimi anni si è parlato di giornalismo partecipativo, di fine dei giornali (con qualcuno che ha persino previsto l’anno della scomparsa dei quotidiani cartacei), e di morte del giornalismo professionale. Al contrario molti dicono che il giornalismo è più vivo che mai, ed è un periodo di grandi opportunità per i professionisti. Qual è la sua visione al riguardo?
D - Negli ultimi anni si è parlato di giornalismo partecipativo, di fine dei giornali (con qualcuno che ha persino previsto l’anno della scomparsa dei quotidiani cartacei), e di morte del giornalismo professionale. Al contrario molti dicono che il giornalismo è più vivo che mai, ed è un periodo di grandi opportunità per i professionisti. Qual è la sua visione al riguardo?
R - Senza volere per forza parafrasare Mark Twain, la notizia della morte dei media tradizionali è stata fortemente esagerata, e non solo anticipata, negli ultimi anni. Anche se l'ostinazione a continuare a fare giornali illeggibili e ingestibili per dimensione, foliazione, gerarchizzazione delle informazioni potrà far sì che la notizia risulti vera per molte testate, anche delle maggiori.
Invece, la notizia della morte del giornalismo, e quindi dei giornalisti, è una bufala e basta. Più l'informazione disponibile si dilata, sul web o altrove, più c'è la necessità che qualcuno ne verifichi l'attendibilità e ne selezioni la rilevanza: questo è il compito del giornalista oggi, compito che si somma e si integra a quello più tradizionale della ricerca della notizia. Se il singolo cittadino dovesse da solo acquisire l'informazione per lui rilevante, perderebbe molto più tempo e non sarebbe mai sufficientemente sicuro d'esserci riuscito...
Quanto, poi, ai citizens journalists, sono un mito: ciascuno di noi è testimone nella vita di fatti rilevanti, ma del tutto saltuariamente... Affidare l'informazione ai testimoni diretti la renderebbe episodica, incompleta, parcellizzata... I citizens journalists possono al più essere utilissimi complementi, o anche contrappesi, a un'informazione strutturata e organizzata.
D - Come ci si deve porre, dal punto di vista professionale, verso la piaga della manodopera giornalistica non pagata, che invade soprattutto le testate locali e progetti più piccoli? Ha ancora senso oggi avere un ordine professionale dei giornalisti?
R - Sono due punti non necessariamente collegati. Comincio dal secondo: l'Ordine ha senso se funziona bene e se adempie funzioni non svolte da altri, come la verifica della professionalità dei giornalisti, della correttezza, del rispetto dei codici etici.. Che oggi l'Ordine funzioni bene e che adempia in modo efficace quelle funzioni non mi sento di affermarlo... Che se ne possa fare a meno, a fronte dell'imbarbarimento del mondo di lavoro e delle lentezze della giustizia -solo per citare due esempi-, non mi sento neppure di affermarlo...
Per quanto riguarda il mancato pagamento, o il pagamento inadeguato, del lavoro giornalistico, il problema, purtroppo, non è giornalistico, ma universale: negli ultimi anni, è cresciuta l'accettazione sociale del fatto che il lavoro non venga pagato per nulla, o venga pagato troppo poco, ai giovani, agli stagisti, ai precari... E' totalmente ingiusto, quale che sia il lavoro... Nel settore dell'informazione, il fenomeno è aggravato dalla percezione, di cui però i giovani sono i maggiori portatori, che l'informazione sia gratuita: non ha un costo e, quindi, non va pagata... Anche questo è totalmente ingiusto: produrre buona informazione costa, e pure molto, e se uno vuole buona informazione deve pagarla... Se no, non si lamenti se gli viene servita, gratis, informazione spazzatura e di parte...
D - A proposito di tecnologie e social media: i social media stanno cambiando modo di fare giornalismo? Quanta importanza oggi ha Twitter su agenzie e news in generale?
R - I social media stanno cambiando il modo di comunicare. Ma il social media che più influenza e trasforma il modo di fare informazione è certamente twitter: la fonte fa la notizia, produce la sua dichiarazione, già sintetizzata, senza mediazioni giornalistiche... Le agenzie sono state, ovviamente, le prime a subirne l'impatto: il tweet ha già la struttura e l'efficacia di un flash o di un bulletin... Ma i tweet sono migliaia, milioni... E le vere notizie molte meno: scatta il meccanismo della selezione di ciò che è rilevante in una montagna di ciarpame...
D - Cosa pensa del boom dell'informazione via web e dell'aumento esponenziale di fonti d'informazione, spesso anche approssimative o addirittura fuorvianti, per non dire peggio. Crede che l'Unione europea, e soprattutto l'euro siano stati le prime vittima illustri di questa nuova informazione/disinformazione? Pensa che se la situazione dell'Europa odierna si fosse vissuta 30 anni fa, le cose sarebbero state diverse, dal punto di vista dei cittadini?
R - Il web facilita la circolazione dell'informazione, non della cattiva informazione: di per sé, è un elemento potenzialmente (e pure di fatto) positivo... Come, prima nel tempo, lo erano stati la tv, la radio, la stampa... L'informazione prolifica più facilmente e soprattutto più velocemente sul web che sia cattiva o che sia buona... Il problema non è il mezzo, lo strumento; il problema è la qualità dell'informazione... Così come, per l'Europa, anzi per l'Unione, il problema non è il fatto che se ne raccontino le magagne, ma che vi siano le magagne... Certo, l'approssimazione giornalistica e la velocità informatica combinate insieme fanno di un fuscello una foresta... Ma il racconto dell'Unione, anzi la narrazione come adesso si dice, è funzione soprattutto di quel che l'Unione fa e fa sapere che fa... E, poi, l'integrazione è popolare quando le cose vanno bene e diventa impopolare quando vanno male... In fondo, è anche giusto: l'integrazione la vogliamo perché le cose vadano meglio, non peggio.
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