Scritto per Il Fatto Quotidiano del 17/02/2015
Nel caos Libia, capire di chi non devi fidarti è
facile: meglio non fidarsi di nessuno. Più difficile individuare quelli di cui
puoi fidarti. E ancora più difficile coinvolgere dei compagni d’avventura, se
vuoi andare a cacciarti laggiù a fare la guerra. Perché lì non si tratta di
fare i guardiani della pace, ma si tratta di fare la guerra per innescare –se
va bene- la pace, senza sapere, a priori, chi vincerà e, soprattutto, chi
comanderà dopo.
Deve essersene reso conto pure il premier Renzi, che dopo
avere fatto suonare la carica per 48 ore al fido Gentiloni, ha ieri invitato a
“evitare gli isterismi, perché non è tempo d’intervento militare”.
Proprio mentre il premier libico al-Thani, rimasto al
registro precedente, invocava l’intervento dell’Occidente altrimenti gli
jihadisti del Califfato arriveranno in Italia. Al-Thani precisava, però, d’essere contrario alla presenza di
truppe straniere sul territorio libico: "C'è un coordinamento totale con
l'Egitto e non chiediamo forze di terra straniere in Libia". Salvo
lamentare che "la comunità internazionale combatte gli estremisti in Siria
e in Iraq, ma ne ignora la presenza in Libia".
Brutta cosa, quando un capo di governo invoca
l’intervento internazionale nel suo Paese: vuol dire che non ne ha il controllo
e non spera di recuperarlo. La Libia del dopo Gheddafi è una sorta di Somalia
mediterranea, dove lo Stato è un simulacro e il potere s’articola per bande e
per aree.
Alla ricerca di interlocutori, ieri Renzi ha chiamato
il presidente egiziano al-Sisi, che aveva appena ordinato una rappresaglia
aerea contro gli obiettivi dello Stato Islamico in Libia per ritorsione dopo la
decapitazione di 21 copti –e non è la prima volta che l’aviazione egiziana
colpisce le postazioni degli jihadisti in Libia-. Renzi e al-Sisi avrebbero
convenuto che servono passi diplomatici nell’ambito delle Nazioni Unite per restituire
alla Libia la pace e la sicurezza.
Un passo indietro rispetto all’impeto neo-futurista
che pareva avere pervaso un’Italia interventista, in ansia per la sua Quarta Sponda,
che non è più scatolone di sabbia, ma serbatoio di petrolio e gas. Un “Armiamoci
e partiamo!”, interpretato pure dal ministro della Difesa Pinotti, oltre che da
Renzi e Gentiloni, che riferirà giovedì in Parlamento “sull’impegno straordinario”
dell’Italia con l’Onu per la Libia e contro il terrorismo.
Certo, per l’Italia la Libia è carica di significati:
lì c’è una minaccia che percepiamo imminente; di lì partono i barconi degli
emigranti; lì c’è l’Eni; e lì siamo stati potenza coloniale. Però, i problemi
d’una missione, ridotti all'osso, sono con chi andarci?, e da che parte stare?,
e per fare che?
L’Onu, per ora, non ci pensa neppure: ha lì un inviato
senza peso e senza poteri, Bernardino Leon, che tenta di fare dialogare il
parlamento eletto che sta a Tobruck e quello auto-insediatosi a Tripoli,
filo-islamista, entrambi in qualche modo detronizzati, o comunque depotenziati
e minacciati, dall'avanzata degli jihadisti.
Nel Consiglio di Sicurezza, dove l’Italia non siede, Paesi
con poteri di veto come Russia e Cina non intendono avallare una missione in
Libia. Neppure gli Usa sono caldi: non mandano truppe in Iraq, figurarsi se le
mandano in Libia. Senza l’Onu, né la Nato né l’Ue sono gli interlocutori giusti
per un’azione muscolare.
Certo, si può fare senza l’ok dell’Onu: è già successo
in questo secolo e, in qualche misura, anche proprio in Libia nel 2011, quando
il mandato limitato delle Nazioni Unite venne travalicato. Ma bisogna trovare i
partner, se si esclude di andarci da soli, come la Francia nel Mali.
E i ‘volenterosi’ di turno latitano, Egitto a parte,
che comunque ha un’agenda tutta sua e neppure troppo condivisibile, anche se il
premier Renzi sembra subire una certa fascinazione dal rais al-Sisi.
Una
soluzione sarebbe quella evocata dal premier al-Thani: "Attivare il trattato di difesa congiunta
inter-araba", per battere l’Is sul territorio libico. Sarebbe la prima
volta che l’Unione africana cava le castagne dal fuoco.
I dubbi sono grappoli: sosteniamo il governo
legittimo?, tuteliamo l’integrità territoriale d’un Paese che abbiamo inventato
noi come entità statale con quei confini?, e come distinguiamo i buoni, ammesso
che ci siano, dai cattivi?, e, soprattutto come evitiamo che le bande si saldino tra di
loro contro noi che siamo lo straniero, che è pure l’invasore e l’infedele?
Morire per Tripoli?, già dato.
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