Scritto per Il Fatto Quotidiano del 18/02/2015
Su iniziativa
dell’Egitto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu discute di Libia in seduta
pubblica, oggi, al Palazzo di Vetro di New York. Il ministro degli Esteri
egiziano Shukry farà il punto sulla situazione nel Paese, dove, ieri, raid aerei
di segno diverso si sono susseguiti. E, a nome del presidente al-Sisi, chiederà
un intervento internazionale.
E’ improbabile che il
Consiglio di Sicurezza giunga a decisioni, è escluso che ordini un intervento. L’inviato
dell’Onu in Libia Bernardino Leon, che ha avuto un colloquio con Federica
Mogherini, l’Alto Rappresentante della politica estera e di difesa europea,
chiede “giorni” per un negoziato che non è mai iniziato. Lui e la Mogherini
sono d’accordo per “intensificare gli sforzi” e, quindi, non fare nulla subito.
Fino a ieri sera, del
resto, la Libia non aveva trasmesso all’Onu una richiesta di aiuto
internazionale contro le milizie jihadiste dello Stato islamico, che
controllano pozioni di territorio –l’ambasciatore Buccino, rientrato da
Tripoli, precisa che né la Sirte né la capitale sono in mano agli
integralisti-. La richiesta di aiuto è la precondizione per un’azione del
Consiglio di Sicurezza.
Il ministro degli
Esteri del governo che sta a Tobruk, quello legittimo per le istanze
internazionali, al Dairi, parteciperà alla riunione dei Quindici. L’egiziano
Shukry è già a New York, per preparare l’incontro con una serie di bilaterali.
Il regime del Cairo è convinto che,
nell’attuale contesto libico, l’Onu debba assumersi le sue responsabilità:
"Si può creare una coalizione internazionale, una forza d’intervento. Ci
sono bombardamenti contro l’Isis in Siria e in Iraq, li si può fare in Libia,
un Paese in totale fallimento … L’Isis in Libia è una minaccia imminente …".
L’ambasciatore egiziano
a Roma Amr Helmy in un’intervista dice : "Non penso che manderemo mai
truppe di terra e di occupazione: potrebbero esserci operazioni aeree limitate
contro obiettivi ben definiti. Ma i bombardamenti non bastano: potrebbero
volerci una forza di peacekeeping, rifugi per le minoranze, un corridoio umanitario
per i civili in fuga … una combinazione di missioni. E bisogna porre fine al
sostegno militare ma anche finanziario” ai gruppi integralisti e terroristi.
Il Califfato lascia il
segno dell’orrore dovunque e ogni giorno: è di ieri la notizia di 45 persone
arse vive in Iraq. Mentre, in
Libia, sette ondate di attacchi aerei egiziani avrebbero fatto decine di morti
fra i miliziani jihadisti, accusati d’usare scudi umani a protezione delle loro
postazioni. A Derna, è stato colpito il tribunale della Sharia, innescando la
minaccia di una “dura ritorsione”. In 48 ore, sarebbero una sessantina i
miliziani uccisi, una dozzina gli stranieri. In un’azione di segno diverso,
aerei delle milizie di Tripoli, islamiste, hanno bombardato posizioni
governative a Zintan.
Il fronte pro intervento
in Libia è, per ora, limitato. L’Italia sollecita “un’azione diplomatica”. Il
Vaticano s’attende “sagge decisioni della comunità internazionale”, mons.
Parolin segnala l’urgenza di “un intervento sotto l’egida dell’Onu”. Londra
vede “solo una soluzione politica” e molti Paesi occidentali, fra cui gli Usa, Francia,
Germania, Spagna, in serata, si allineano su questa posizione. Algeri vuole
“favorire il dialogo, ma nel rispetto della sovranità”.
Hamas fa sapere
d’essere contrario "in modo categorico" a interventi della comunità
internazionale in Libia, specie da parte di "Paesi come l’Italia che
adducono pretesti, come la lotta al terrorismo”: "Respingiamo l’intervento
e lo consideriamo una nuova crociata contro i paesi arabi e musulmani”.
L’esercito regolare
libico, invece, sollecita forniture di “armi” per combattere gli jihadisti, ma
non vuole saperne di truppe straniere sul proprio territorio. A ipotizzare o
teorizzare interventi militari, restano gli Stranamore di casa nostra: chi progetta
un’operazione di cinque anni e 80 mila uomini, chi avverte che se si va là ci
s’impantana, chi invoca il ricorso alle forze libiche (ma quali?). Spicca fra
tante la voce del vescovo di Tripoli, mons. Martinelli, deciso a restare, “mi
taglino pure la testa”.
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