Scritto come contributo all'articolo de Il Fatto Quotidiano dello 08/03/2016
Con una mossa in extremis, ma non imprevista, la
Turchia raddoppia la posta al Vertice sui migranti e chiede all’Ue più soldi e
una prospettiva d’adesione concreta: Ankara gioca a Bruxelles la carta del
ricatto, usando come ostaggi i circa due milioni di rifugiati siriani in
territorio turco che possono riversarsi sulle coste europee.
E’ una giornata in cui s’intrecciano tutte le crisi
dell’Unione: c’è pure un Eurogruppo, dove si parla delle difficoltà di Grecia e
di Cipro e a margine del quale si evoca la Legge di Stabilità italiana. Sulla
questione migranti, la compattezza dell’Ue, cui un nucleo stretto intorno ai Paesi
fondatori dà un ancoraggio di coesione, è incrinata dagli opportunismi politici
della Gran Bretagna, che respinge l’idea di un asilo europeo perché - dice -
“abbiamo già le nostre regole”, e le grettezze dei Paesi dell’Europa orientale,
allineati lungo la ‘rotta dei Balcani’, già dimentichi di dovere all'apertura dell’Unione
il loro riscatto economico e sociale dopo l’era comunista.
L’atmosfera è quella di un’ennesima maratona negoziale.
Da Ankara, il presidente turco Erdogan critica i ritardi europei nel versamento
dei tre miliardi di euro già promessi dalla Ue a novembre, come contropartita all’impegno
turco a frenare il flusso di migranti dal confine con la Siria. "Sono
passati quattro mesi e non abbiamo ancora visto quei soldi", afferma
Erdogan.
Il premier turco Davutoglu raddoppia il prezzo, chiede
altri 3 miliardi di euro, rivela il presidente del Parlamento europeo Schulz:
le servono per affrontare l'emergenza profughi, per impegnarsi
a riprendere i migranti che non hanno diritto all'asilo nell'Unione e per
limitare le partenze verso la Grecia.
Ma Ankara vuole pure che il dibattito
non si limiti all'emergenza profughi – come se la questione non fosse
abbastanza difficile -, ma s’allarghi ai passi per l'ingresso della Turchia
nell'Unione. Erdogan torna a bussare con forza alle porta dell’Europa. Ma
quello che chiede di entrare non è più un Paese laico sulla via delle riforme,
che fa da cerniera tra l’Islam e l’Occidente, ma è un Paese che scivola
nell'integralismo e nell'autoritarismo, che approfitta della guerra al
terrorismo per fare fuori i suoi nemici interni ed esterni – quei curdi che sul
terreno in Siria e in Iraq sono l’unica spina nel fianco delle milizie
jihadiste – e che viola molti principi di base dell’integrazione europea, come la
libertà d’espressione.
Al posto di sbattere la porta in faccia a questa
Turchia, l’Unione cerca di smussare e tratta, perché quella marea umana
accampata al di qua del confine la terrorizza. Il ‘ministro degli Esteri’ Ue Federica
Mogherini avverte, però, che Ankara deve "affrontare con il dialogo la
questione curda" e "rispondere agli appelli europei a rispettare gli standard
più alti di democrazia, stato di diritto e libertà fondamentali, a partire da
quella d’espressione e d’associazione". E il premier
italiano Renzi chiede ai partner che l'eventuale intesa con la Turchia contenga
"riferimenti alla libertà di stampa”: “Altrimenti noi non firmiamo".
Prima dell’inizio del Vertice, c'è una riunione
ristretta tra i quattro Grandi: i leader di Germania, Francia, Italia e Gran
Bretagna, con la Mogherini e Davutoglu. C’è un no forte a azioni unilaterali, ma
il britannico Cameron si sfila dall’asilo comune: difficile aspettarsi altro da
chi ha appena concordato una serie d’alleggerimenti dei propri vincoli all’Unione
europea e si prepara a sottoporli a referendum il 23 giugno.
Londra condivide, invece, l’importanza di garantire la
sicurezza delle frontiere Ue esterne e sta inviando unità navali per la
missione Nato nel mar Egeo.
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