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sabato 12 marzo 2016

Usa 2016: nomination; Trump se la sente in tasca; Hillary dà segni di panico

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 12/03/2016

Donald Trump se la sente in tasca, la nomination; e comincia a recitare da moderato, a comportarsi da candidato alla Casa Bianca. Hillary Clinton sente che l’inerzia della campagna è cambiata, teme che la vittoria possa sfuggirle; e insegue a sinistra Bernie Sanders, che, se le porterà via martedì l’Ohio e l’Illinois, le farà male davvero.

Eppure, in termini di delegati, Trump può ancora perderla la nomination, mentre Hillary è quasi certa d’ottenerla: ha già più della metà dei suffragi necessari, se incassa – come pare scontato – Florida e poi New York e California è quasi fatta. E Michael Bloomberg si fa da parte per favorirla.

Ma il Super Sabato e, poi, il ‘mini Super Martedì’ non sono stati giorni allegri per l’ex first lady, sempre regina del Sud, ma battuta ancora nel New England e pure, d’un soffio, tra Grandi Laghi e MidWest, nel Michigan popoloso e ridotto a una landa di archeologia industriale. E pesa sempre sulla Clinton la spada di Damocle dello scandalo delle mail.

L’elettorato democratico bianco, anche etnico – il Michigan è Stato di forte immigrazione slava -, ha voglia di riscatto e si abbarbica ai messaggi di sinistra di Nonno Bernie, anche se non esiterebbe a scegliere zia Hillary contro un qualsiasi repubblicano.

Martedì 15, si vota in Florida e nell’Ohio, due Stati spesso decisivi per conquistare la Casa Bianca, e in Illinois e North Carolina – sono tutte primarie -, dopo un assaggio, oggi, con test a Washington e a Guam per i repubblicani e alle Marianne per i democratici. E i delegati della Florida e dell’Ohio vanno tutti a chi è primo, non vengono ripartiti con la proporzionale.

Nei sondaggi, che si susseguono e talora si contraddicono, Hillary è avanti nei due Stati, talora pure con un rapporto di forze dell’ordine di 2 a 1. Ma il vantaggio su Sanders a livello nazionale non è più in doppia cifra.

L’appuntamento della Florida è carico si suggestioni: questo è lo Stato di Jeb Bush, che doveva essere un protagonista di Usa 2016, e di Marco Rubio, che non riesce a esserlo; e questo è lo Stato dove, nel 2000, Al Gore perse le elezioni per un numero di voti mai stabilito con certezza, circa 250, nonostante a livello nazionale ne avesse 543 mila più di George W. Bush. Fu colpa del verde ‘di sinistra’ Ralph Nader, che in Florida ebbe circa 8 mila suffragi.

Se fra i democratici è soprattutto questione di stati d’animo – qualunque cosa accada il 12, Hillary e Sanders resteranno in corsa e la partita resterà aperta -, in casa democratica martedì può essere giorno di verdetti: se non vince a casa sua – e i sondaggi lo danno perdente -, il senatore Rubio esce di scena; così come, se non vince a casa sua – ma i sondaggi lo danno vincente -, il governatore dell’Ohio John Kasich abbandona.

Trump, mentre fa la muta e cambia pelle da provocatorio a ‘unificatore’, resta duro su islamici e migranti e incassa il sostegno dell’ex rivale nero Ben Carson: l’ex neurochirurgo, ora guru, gli dà l’endorsement in nome dell’unità del partito – buffo, detto da due che non ne hanno mai fatto parte.

E i repubblicani vanno metabolizzando che lo showman possa essere il loro uomo: Reince Preibus, capo del partito, dice che “sosterremo in modo unitario chiunque vincerà la nomination”. Una frase pronunciata sul palco dell’ultimo dibattito fra i candidati repubblicani, giovedì sera. Che, per la prima volta, è stato più pacato di quello tra i candidati democratici, mercoledì sera.

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