Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/03/2016
Desiderosi
di normalizzare le relazioni fra i loro due Paesi, e orgogliosi di farlo,
Barack Obama e Raul Castro si chiedono l’un l’altro, come suggello del passo
compiuto, l’impossibile, o almeno quello che né l’uno né l’altro sono in grado
di fare da soli. Obama sollecita il rispetto dei diritti dell’uomo e la libertà
d’espressione, il che equivale alla rinuncia, da parte di Cuba, al suo attuale
sistema politico. Castro chiede la fine dell’embargo, che Obama è pronto a
concedere, ma che non ha il potere di decretare da solo senza l’avallo del
Congresso che, a maggioranza repubblicana, non ha per ora nessuna intenzione di
concederlo.
Nella
visita di Obama all'Avana, conclusasi ieri – il presidente Usa è partito per Buenos
Aires, essendo l’Argentina la sua prossima tappa -, c’è anche il nodo,
irrisolto, di Guantanamo: un nodo doppio, perché tra Cuba e Washington c’è il problema
della base e tra l’Amministrazione e il Congresso c’è il problema della
prigione nella base.
Un
paradosso che Castro evoca – senza troppo crederci, per la sua parte -, ma che
pesa su Obama – per la sua -. Perché la chiusura della prigione dei presenti
terroristi, istituita nel 2002, in violazione di ogni norma di diritto
internazionale, e dove sono tuttora detenuti circa 150 “nemici combattenti”,
contro i quali non è mai stato formulato un capo d’accusa, è una promessa della
campagna elettorale di Obama I, nel 2008.
Anche con
quella promessa, Obama sconfisse Hillary Clinton nelle primarie democratiche; e
quindi il candidato repubblicano John McCain nell’Election Day. Ma, per oltre
sette anni, il presidente Obama non ha saputo –o potuto- mantenuto la promessa
del candidato Obama, con l’alibi –forte- di u Congresso non convinto-. Nel
gennaio 2009, il presidente firmò gli ordini di chiusura, che, però, non sono
mai stati attuati, non essendo, tra l’altro, stato deciso che fare dei
detenuti.
Le istallazioni
più aberranti sono state chiuse e smantellate. E
l’Amministrazione Usa ora sostiene che i principali diritti previsti dalla
convenzione di Ginevra sono "sostanzialmente rispettati", anche se lo
statuto di "prigionieri di guerra", non può essere riconosciuto a
"combattenti irregolari, attentatori o terroristi". All'inizio
dell’anno, Obama ha di nuovo prospettato la chiusura, basandosi, con il
Congresso, su una ragione non etica, ma economica: quel carcere costa troppo.
Ma non è affatto sicuro che la cosa vada in porto entro la fine del suo
mandato.
Che se poi la prigione
chiudesse e i detenuti ne partissero, il governo di Cuba non sarebbe contento
lo stesso: L’Avana reclama la restituzione pura e semplice della base posta
all'estremità orientale dell’isola,
ritenendo nullo il contratto di locazione perpetua che risale al 1903 – di
fatto, un derivato della guerra ispano-americana del 1898 -. Per non
legittimare le tesi Usa, Cuba non incassa neppure l’affitto annuo di 4000
dollari per 120 kmq, roba che manco i fitti in centro del Comune di Roma:
l’esecutivo cubano post-rivoluzionario giudica illegale la presenza militare
americana sull'isola e non riconosce gli impegni assunti dai governi
precedenti.
Con
oltre 9.500 marinai e marines, la base di Guantanamo è l'unica installazione militare
statunitense in un Paese comunista. E non saranno Obama e Castro a deciderne il
ritorno a Cuba: questo è lavoro per prossimi presidenti.
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