Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/03/2016
E’ un Paese di gente solida, dove ciascuno si applica a fare bene quel che deve fare: magari, non chiedetegli la fantasia, a un belga, ma lo zelo, la diligenza, la generosità ce li mette di sicuro. E pure un senso dell’umorismo che, come nell'arte, dà sul surrealismo. E’ un Paese capace di tirare avanti senza sbandare 535 giorni senza governo – un record, per quel che è dato sapere, mondiale -, perché, mentre i partiti negoziavano e i formatori si succedevano e si consumavano, nell'Esecutivo in carica per gli affari correnti ciascuno faceva il suo senza sbavature: senza governo, il Belgio ha persino gestito nel 2013 un semestre di presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, che, quando lo ha fatto l’Italia, nel 2014, sembrava un’impresa da fare tremare le vene dei polsi.
Ma è un Paese che, da almeno un quarto di secolo, pare sul punto di sgretolarsi: i fenomeni di smembramento nazionalista degli Stati della Guerra Fredda, l’Unione sovietica in primo luogo, ma anche la Jugoslavia e la Cecoslovacchia, hanno reso pensabile quello che prima manco lo era, cioè la divisione del Belgio. Che ha due anime, linguistiche, religiose, politiche, economiche. Bruxelles ne è la cerniera: capitale al contempo, di una Regione che le coincide, di uno Stato e dell’Unione, oltre che, ora, della provincia d’Europa del Califfato.
C’è il Sud tutto ondulato della Doyenne, la Liegi-Bastogne-Liegi, tra le Ardenne e le Fagnes, francofono, socialista, tendenzialmente laico, meno ricco, specie dopo che l’industria pesante tradizionale, l’acciaio, è andata in crisi irreversibile. E c’è il Nord tutto piatto della Ronde, il Giro delle Fiandre, fiammingo, conservatore, cattolico, ricco. I fiamminghi, che sono maggioranza, hanno nelle scarpe sassolini di generazioni culturalmente sottomesse, fin quando la loro lingua acquisì pari dignità del francese nell'educazione nazionale e nella funzione pubblica: il rinascimento linguistico fiammingo negli Anni Settanta fu traumatico e a sprazzi persino violento.
E’ un Paese che fatica a trovarsi un’anima e dei simboli d’unità nazionale, C’è il re, ma l’ultimo vero carismatico è stato Baldovino, perché Alberto, con Paola, la regina italiana, è sempre stato sentito come una figura di transizione, nonostante abbia regnato vent’anni, e Filippo, il figlio, sul trono dal 2013, deve ancora farsi una credibilità e una reputazione. E c’è la squadra di calcio, i Diavoli Rossi, che sono oggi sul trono del Mondo, dove non erano mai stati, nella classifica della Fifa, davanti ad Argentina, Spagna, Germania, e che fanno sognare i tifosi verso l’Europeo, con una formazione così multietnica che rende Molenbeek e Salah e i suoi compagni ancora più un rebus. E poi c’è il ciclismo, la vera grande passione nazionale: sulle strade delle classiche di primavera, i belgi sono milioni; e, come allo stadio, tifano belga, non fiammingo o vallone.
Invece, in politica è un’altra storia. Il Sud vota a sinistra con costanza, esprime spesso il premier – l’attuale, Charles Michel, è un riformatore di Namur; il suo predecessore era un italo-belga socialista di Charleroi, Elio Di Rupo-, non ha slanci, ma neppure pulsioni indipendentiste. Il Nord sente le sirene dell’autonomia e dell’indipendenza, insegue movimenti populisti e xenofobi o d’estrema destra, che magari sono fuochi di paglia, ma segnalano il disorientamento e l’incertezza dell’opinione pubblica.
Se onesta e affidabilità proteggono le Istituzioni pubbliche dal degrado cui sono esposte altrove, l’efficienza degli apparati di sicurezza è compromessa dalle resistenze al dialogo fra le comunità dello stesso Paese. Così, le forze dell’ordine e l’intelligence belghe, quando sollecitate e messe sotto pressione, possono persino apparire goffe, al punto che c’è chi sospetta dietro le loro inefficienze una subdola connivenza – ipotesi che appare gratuita e, comunque, non sostanziata da prove -. Ma ci sono norme talmente datate, all’epoca della guerra contro il terrorismo, da apparire ridicole, come quella che impedisce di fare perquisizioni tra le 21.00 e le 05.00.
Di fatto, le cronache belghe sono costellate di dabbenaggini poliziesche – loro le chiamano ‘bavures’ -: la strage dello stadio di Heysel, il 29 maggio 1985, quando 5 poliziotti 5 separavano gli ‘animals’ del Liverpool dagli inermi tifosi juventini; le indagini, mai risolutive, sugli attentati anti-Nato e sugli assassini folli del Brabante Vallone; i casi di pedofilia degli Anni Novanta e del Duemila; e, ora, la libertà di movimento lasciata agli integralisti dopo gli arresti di Verviers e le stragi di Parigi. I due fratelli kamikaze dell’aeroporto e della metro erano ben noti alle forze dell’ordine: incasellati come delinquenti comuni, non sono stati considerati adepti del Califfo potenziali. Fino a martedì. Ma era tardi.
E’ un Paese di gente solida, dove ciascuno si applica a fare bene quel che deve fare: magari, non chiedetegli la fantasia, a un belga, ma lo zelo, la diligenza, la generosità ce li mette di sicuro. E pure un senso dell’umorismo che, come nell'arte, dà sul surrealismo. E’ un Paese capace di tirare avanti senza sbandare 535 giorni senza governo – un record, per quel che è dato sapere, mondiale -, perché, mentre i partiti negoziavano e i formatori si succedevano e si consumavano, nell'Esecutivo in carica per gli affari correnti ciascuno faceva il suo senza sbavature: senza governo, il Belgio ha persino gestito nel 2013 un semestre di presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, che, quando lo ha fatto l’Italia, nel 2014, sembrava un’impresa da fare tremare le vene dei polsi.
Ma è un Paese che, da almeno un quarto di secolo, pare sul punto di sgretolarsi: i fenomeni di smembramento nazionalista degli Stati della Guerra Fredda, l’Unione sovietica in primo luogo, ma anche la Jugoslavia e la Cecoslovacchia, hanno reso pensabile quello che prima manco lo era, cioè la divisione del Belgio. Che ha due anime, linguistiche, religiose, politiche, economiche. Bruxelles ne è la cerniera: capitale al contempo, di una Regione che le coincide, di uno Stato e dell’Unione, oltre che, ora, della provincia d’Europa del Califfato.
C’è il Sud tutto ondulato della Doyenne, la Liegi-Bastogne-Liegi, tra le Ardenne e le Fagnes, francofono, socialista, tendenzialmente laico, meno ricco, specie dopo che l’industria pesante tradizionale, l’acciaio, è andata in crisi irreversibile. E c’è il Nord tutto piatto della Ronde, il Giro delle Fiandre, fiammingo, conservatore, cattolico, ricco. I fiamminghi, che sono maggioranza, hanno nelle scarpe sassolini di generazioni culturalmente sottomesse, fin quando la loro lingua acquisì pari dignità del francese nell'educazione nazionale e nella funzione pubblica: il rinascimento linguistico fiammingo negli Anni Settanta fu traumatico e a sprazzi persino violento.
E’ un Paese che fatica a trovarsi un’anima e dei simboli d’unità nazionale, C’è il re, ma l’ultimo vero carismatico è stato Baldovino, perché Alberto, con Paola, la regina italiana, è sempre stato sentito come una figura di transizione, nonostante abbia regnato vent’anni, e Filippo, il figlio, sul trono dal 2013, deve ancora farsi una credibilità e una reputazione. E c’è la squadra di calcio, i Diavoli Rossi, che sono oggi sul trono del Mondo, dove non erano mai stati, nella classifica della Fifa, davanti ad Argentina, Spagna, Germania, e che fanno sognare i tifosi verso l’Europeo, con una formazione così multietnica che rende Molenbeek e Salah e i suoi compagni ancora più un rebus. E poi c’è il ciclismo, la vera grande passione nazionale: sulle strade delle classiche di primavera, i belgi sono milioni; e, come allo stadio, tifano belga, non fiammingo o vallone.
Invece, in politica è un’altra storia. Il Sud vota a sinistra con costanza, esprime spesso il premier – l’attuale, Charles Michel, è un riformatore di Namur; il suo predecessore era un italo-belga socialista di Charleroi, Elio Di Rupo-, non ha slanci, ma neppure pulsioni indipendentiste. Il Nord sente le sirene dell’autonomia e dell’indipendenza, insegue movimenti populisti e xenofobi o d’estrema destra, che magari sono fuochi di paglia, ma segnalano il disorientamento e l’incertezza dell’opinione pubblica.
Se onesta e affidabilità proteggono le Istituzioni pubbliche dal degrado cui sono esposte altrove, l’efficienza degli apparati di sicurezza è compromessa dalle resistenze al dialogo fra le comunità dello stesso Paese. Così, le forze dell’ordine e l’intelligence belghe, quando sollecitate e messe sotto pressione, possono persino apparire goffe, al punto che c’è chi sospetta dietro le loro inefficienze una subdola connivenza – ipotesi che appare gratuita e, comunque, non sostanziata da prove -. Ma ci sono norme talmente datate, all’epoca della guerra contro il terrorismo, da apparire ridicole, come quella che impedisce di fare perquisizioni tra le 21.00 e le 05.00.
Di fatto, le cronache belghe sono costellate di dabbenaggini poliziesche – loro le chiamano ‘bavures’ -: la strage dello stadio di Heysel, il 29 maggio 1985, quando 5 poliziotti 5 separavano gli ‘animals’ del Liverpool dagli inermi tifosi juventini; le indagini, mai risolutive, sugli attentati anti-Nato e sugli assassini folli del Brabante Vallone; i casi di pedofilia degli Anni Novanta e del Duemila; e, ora, la libertà di movimento lasciata agli integralisti dopo gli arresti di Verviers e le stragi di Parigi. I due fratelli kamikaze dell’aeroporto e della metro erano ben noti alle forze dell’ordine: incasellati come delinquenti comuni, non sono stati considerati adepti del Califfo potenziali. Fino a martedì. Ma era tardi.
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