Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/03/2016
Bruxelles, capitale dell’Europa; e Bruxelles, Raqqa
dell’Europa, capitale del Califfo: nel cuore d’una città spesso dipinta come
noiosa e sonnolenta, grigia e uggiosa di pioggia e di routine, esplodono e s’intrecciano
e si sovrappongono l’una all’altra, lo stesso giorno, tutte le crisi e le paure
di un’Unione incerta e divisa, soprattutto l’immigrazione e il terrorismo.
Sembra la sceneggiatura d’un film, non certo dei fratelli Dardenne; invece, è
uno stralcio di realtà di questo XXI Secolo, che sciorina l’orrore in diretta,
dall’attacco all’America dell’11 Settembre 2001 alle stragi di Parigi del 13
novembre 2015.
Bruxelles è una città piccola – un milione di abitanti
appena -, divisa in Comuni che sono ciascuno un quartiere di Roma. Eppure, dal
Quartiere europeo, intorno al Rond Point Schuman, dove si leva il Justus
Lipsius, il palazzo un po’ rigido e molto tetro del Vertice europeo, a Est del
centro storico, a Molenbeek, a Ovest, sembra esserci, nelle cronache di questa
giornata, la distanza di due mondi. E il sussulto decisivo nella caccia alla
‘primula rossa del Bataclan’, Salah Abdeslam, parte da Forest, a Sud del
centro, dove si sono aree residenziali e che tutti i bruxellesi conoscono perché
lì c’è l’arena coperta da 8000 posti che ospita i grandi spettacoli.
Per una quindicina d’anni, Molenbeek era quasi stato
cancellato dalla mappa bruxellese: da quando, cioè, l’Rwdm, la squadra di
calcio locale, capace di vincere un titolo negli Anni Settanta e di essere
protagonista nelle coppe europee – chiedere ai tifosi del Torino, se se la sono
dimenticata -, era fallita e retrocessa per disavventure finanziarie.
Generazioni di bruxellesi sono cresciute senza esserci mai state, come
generazioni di romani ignorano le borgate: e così, quel quartiere originariamente
modesto ma dignitoso, operaio e fiammingo, è diventato un coagulo d’immigrazioni
marginali e un incubatoio d’illegalità prima e di fondamentalismo poi.
Al punto che, evidentemente, Salah ha potuto
nascondervisi per mesi, godendo di coperture e complicità, di silenzi e connivenze.
E forse anche – ma questa è un’altra storia – dell’inadeguatezza delle forze
dell’ordine belghe, a disagio di fronte a grande criminalità ed a terrorismo
internazionale con cui finora avevano ben poco a che fare.
Eppure, in questo fazzoletto di territorio europeo, in
mezzo pomeriggio, i leader dei 28 e la Turchia trovano un’intesa sulla gestione
dei siriani in fuga dalla guerra e il più ricercato dei terroristi viene
scovato, ferito, catturato. L’una cosa avviene indipendentemente dall’altra: se
al Justus Lipsius tutti sanno quello che sta avvenendo a Molenbeek, forse Salah
non ha nessuna idea del negoziato in atto nel Quartiere europeo.
Eppure le due vicende si concatenano l’una all’altra:
il terrore integralista, con la guerra civile siriana, innesca l’esodo dei
rifugiati; e l’esodo alimenta nell’Unione la paura del terrorismo, nonostante a
colpire nel nome del Califfo siano, ovunque, non immigrati, ma gente che
crediamo integrata, spesso belgi –o francesi- di nascita, scuole,
frequentazioni.
La sera di Bruxelles si riempie del suono delle sirene: le scorte dei leader che lasciano il Rond Point s’incrociano con le pattuglie che rientrano da Molenbeek. Chi l’ha detto che a Bruxelles non accade mai nulla? Oggi, un terrorista è stato arrestato e un accordo sull’immigrazione è stato fatto; e Forest National sta per riempirsi di nuovo di brava gente, perché è in arrivo Mariah Carey con il suo Tour.
La sera di Bruxelles si riempie del suono delle sirene: le scorte dei leader che lasciano il Rond Point s’incrociano con le pattuglie che rientrano da Molenbeek. Chi l’ha detto che a Bruxelles non accade mai nulla? Oggi, un terrorista è stato arrestato e un accordo sull’immigrazione è stato fatto; e Forest National sta per riempirsi di nuovo di brava gente, perché è in arrivo Mariah Carey con il suo Tour.
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