Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano il 22/03/2016
Ci sono volte che gli
attentati colpiscono luoghi che tutti conoscono, dove tutti sono stati perché
sono crocevia dell’umanità: Manhattan, la metropolitana di Londra, il centro di
Parigi. E ci sono volte che le bombe scoppiano dove noi siamo stati migliaia di
volte nella nostra quotidianità, dove amici e colleghi tuttora vivono le loro
routine: l’aeroporto di Zaventem a Bruxelles e le stazioni della metropolitana
di Schumann e di Maelbeek, le due fermate del ‘quartiere europeo’ della
capitale belga, diventano di colpo luoghi del quotidiano violati e
insanguinati. Schumann, un cantiere perennemente aperto, dove i lavori sono
sempre in corso; e Maelbeek, dove, quando esci, perdi sempre l’orientamento e
non sai mai se sei nella direzione giusta.
Certo, che c’era da
aspettarselo, che i terroristi colpissero a Bruxelles e che colpissero le Istituzioni
europee: sia per mostrare che l’arresto di Salah non li ha neutralizzati, sia per
attaccare i simboli della cooperazione tra le forze di sicurezza europee che,
da quando funziona un po’ di più, migliora l’efficienza del contrasto
all'integralismo.
Ma anche se sei sicuro che
stanno per colpire, anche se Salah ti dice che stava preparando, di sicuro non
da solo, nuovi attentati, ciò non basta a impedire gli attacchi kamikaze contro
obiettivi indiscriminati, la folla anonima, dove nessuno è bersaglio fin quando
che ti sta accanto non si fa saltare in aria. A meno di militarizzare la nostra
vita e le nostre città, senza la
garanzia che funzioni e con la certezza che così la diamo vinta agli untori
della paura.
Venerdì scorso, il 18 marzo,
la sera di Bruxelles era stata traversata da sirene che scortavano i leader dei
28 via dal Quartiere europeo, dopo un Vertice sui migranti, l’ennesimo, mentre,
più a ovest, altre sirene conducevano Salah in carcere: suoni, in fondo, di
sollievo, un’intesa fatta, un terrorista preso. Questa mattina, 84 ore più
tardi, è una scena tutta diversa: le sirene convergono sul Quartiere europeo,
suoni d’angoscia, altri terroristi hanno colpito - e, intanto, a Idomeni, a
Lesbo, altri teatri di dramma e dolore, l’accordo sui migranti non funziona -.
Fra le dichiarazioni a caldo
che ingolfano l’informazione in queste ore, quella del presidente del Consiglio
europeo Donald Tusk: ricorda che le istituzioni europee sono ospitate a
Bruxelles anche grazie a generosità e disponibilità del governo e del popolo
belga; e afferma che l’Unione saprà ricambiare la solidarietà e aiuterà
Bruxelles, il Belgio e tutta l’Europa ad affrontare la minaccia terroristica. Il
primo gesto è quello di fare con efficienza il proprio lavoro.
La polizia belga ha molti
limiti e la cronaca dirà se altri ne ha mostrati in queste occasioni. Una
risposta ‘federale’ agli attacchi odierni sarebbe la creazione di una polizia
federale europea, che, sull'esempio del Secret Service degli Stati Uniti,
tuteli le sedi delle Istituzioni che rappresentano – direttamente, come il
Parlamento o il Consiglio – o indirettamente – come la Commissione - 500
milioni di cittadini europei. Ma la vera risposta sarà il rafforzamento della
cooperazione, di polizia, giudiziaria, culturale, senza ulteriori cedimenti
agli egoismi nazionali. Uniti siamo più sicuri; e più forti; e più liberi.
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