Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 09/02/2016
“Insieme
sconfiggeremo il terrorismo”. E gli Stati Uniti hanno “un ruolo decisivo nella
crisi libica”. Sono alcune delle frasi, un po’ apodittiche, che, dopo oltre
un’ora di colloquio, i presidenti Usa Barack Obama e italiano Sergio Mattarella
si alternano a pronunciare di fronte ai giornalisti. Ancora: “La collaborazione
transatlantica ci consentirà di fare fronte a nuove sfide e di sconfiggere i
nemici della pace e dei diritti umani”; e “L’emergenza migranti è globale, non
è solo europea”.
Tutto
talmente giusto da suonare scontato e rituale. I comuni sforzi per contrastare
il sedicente Stato islamico e la situazione in Libia sono stati fra i temi
principali dell’incontro nello Studio Ovale, cui erano pure presenti il vice di
Obama Joe Biden e il ministro degli Esteri Paolo Gentiloni. Obama e Mattarella
si sono pure scambiati opinioni sulla crisi dei migranti, sugli sviluppi
dell’economia nell’Ue – Washington spinge per più crescita -, sull'importanza
di chiudere i negoziati per un’area di libero scambio transatlantica (Ttip).
L’incontro
conferma che l’Amministrazione statunitense vorrebbe stringere i tempi di
formazione d’una coalizione internazionale che operi sul territorio libico.
L’Italia, però, ritiene che non ci sia ancora una chiara cornice di legalità
internazionale, anche se i Parlamenti libici potrebbero presto legittimare la
richiesta di un intervento. Mattarella conferma la piena disponibilità
italiana, ma consiglia nel contempo prudenza. Obama, alla fine, dice: “Abbiamo
parlato degli sforzi congiunti per aiutare la Libia a formare un governo che
permetta di stabilizzare il territorio e neutralizzare così gli jihadisti”.
"La nostra collaborazione in ambito atlantico – afferma Mattarella - è
decisiva perché la comunità internazionale risolva i drammatici problemi
ripristinando stabilità e sicurezza".
Poco prima
dell’arrivo di Mattarella alla Casa Bianca, era stato confermato che il caso
Regeni sarà sull'agenda dei prossimi colloqui tra Usa ed Egitto: il segnale era
partito dal NYT, in un articolo che sottolinea “l’attenzione internazionale”
suscitata dalla vicenda del ricercatore italiano sequestrato e ucciso al Cairo
e l’interesse del Dipartimento di Stato Usa, che da tempo sensibilizza l’Egitto
al rispetto dei diritti umani e civili. Sarah B. Sewall, vice di Kerry per i
diritti umani, compirà una missione al Cairo in settimana e solleverà il
problema, che potrebbe anche emergere nei colloqui a Washington tra il
segretario di Stato Kerry e il ministro degli esteri egiziano Shiukry.
Il caso
Regeni pare quindi destinato a diventare un banco di prova non solo delle
relazioni tra Italia e Egitto, ma di tutto l’Occidente col regime del generale
al-Sisi, che sarà pure un partner strategico, specie per quanto riguarda la
situazione in Libia, e che avrà pure un ruolo strategico per stabilizzare la
Regione, ma la cui deriva verso abusi e torture non può essere impunemente
accettata. Gli Usa hanno armi di pressione non indifferenti sul Cairo:
l’Amministrazione Obama continua a fornire all’Egitto aiuti militari per 1,3
miliardi di dollari l’anno.
Obama ha
pure ringraziato l’Italia per la protezione che fornirà alla diga di Mosul e
l’addestramento delle truppe irachene. C’è stato, infine, un riferimento
all'ambizione dell’Italia d’ottenere un seggio non permanente nel Consiglio di
Sicurezza dell’Onu: avanzata fin dal 2009 per il biennio 2017-’19, la
candidatura avrà una verifica decisiva entro l’anno – due i posti europei per
tre contendenti: Olanda e Svezia gli altri concorrenti-.
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