Dopo il successo di martedì nelle assemblee del Nevada, la corsa verso la nomination repubblicana di Donald Trump rischia di diventare inarrestabile. In chiave Election Day, la prospettiva preoccupa l’establishment repubblicano e tutti i conservatori moderati. In un editoriale, il Washington Post invita perentoriamente i leader repubblicani a fare tutto quel che possono per fermare Trump: o serrano le fila e convergono sul senatore della Florida Marco Rubio, o nessuno potrà più bloccare lo showman, anche perché i meccanismi delle primarie, di qui in avanti, lo favoriscono.
Anche se la nomination può sempre diventare una guerra sporca
di trabocchetti e scheletri che escono dall’armadio: Mitt Romney, candidato
repubblicano nel 2012, ha buttato lì su Fox News che la dichiarazione dei
redditi di Trump potrebbe contenere una ‘bomba’, o il magnate non è ricco come
dice o non paga tutte le tasse che deve. Negli Usa, gli elettori non lo
ritengono titolo di merito.
La prospettiva di una nomination di Trump è perdente su due
fronti: o lo showman perde le elezioni, perché il suo populismo spaventa i
conservatori moderati e a maggior ragione indipendenti e centristi; oppure le
vince, spostando la campagna su posizioni meno urticanti, e diventa presidente,
esponendo gli Stati Uniti (e il Mondo intero) a una leadership fatta di ‘alti e
bassi’ ed estrosità. Trump ha già dato segno di volere dare una mano di vernice
‘moderata’ alle sue posizioni, dicendo, ad esempio, che il suo vice dovrà
essere un politico, proprio a compensare il suo populismo.
Certo, malgrado il successo in Nevada, il terzo consecutivo
dopo New Hampshire e South Carolina, il vantaggio di Trump sui rivali in
termini di delegati resta modesto: non ha neppure il 10% di quelli che servono
per garantirsi la nomination alla convention.
Ma i delegati in palio nel Super-Martedì, il 1° marzo,
quando i repubblicani votano in 14 Stati, e poi a metà marzo, quando ci sono le
primarie in Stati grandi e significativi come Florida e Ohio, possono
avvicinarlo di molto al traguardo. Tanto più che in molti casi l’assegnazione
dei candidati avverrà con il sistema maggioritario e non proporzionale: chi
vince prende tutto. A Trump, dunque, basta essere primo per fare bottino pieno .
E i suoi rivali, il senatore del Texas Ted Cruz, che lo ha già battuto nello
Iowa e potrebbe vincere in Texas, e il senatore Rubio, che non ha ancora vinto,
ma potrebbe farlo in Florida, non paiono avere al momento la forza di
scavalcarlo né possono sommare i loro voti, perché i sostenitori dell’ultra-conservatore
evangelico Cruz sono più vicini a Trump che a Rubio.
In Nevada, le assemblee sono state caratterizzate da
un'affluenza record e da molte irregolarità: doppi voti e scrutatori di parte
che indossavano t-shirt del magnate. Le prime analisi elettorali dicono che lo
showman ha vinto anche tra i latini -
nonostante gli insulti - e gli evangelici. "Saranno due mesi incredibili -
ha esultato Trump -, ma ad essere onesti potremmo anche non avere bisogno di
due mesi. Sarete orgogliosi del vostro presidente e sarete di nuovo orgogliosi
del vostro Paese".
Dopo il voto, Rubio è andato a dormire: è arrivato secondo,
ma non sarebbe stato primo neppure sommando ai suoi voti il 10% striminzito di
Ben Carson e John Kasich insieme. Cruz s’è invece congratulato con Trump, ma ha
aggiunto: "La storia ci insegna che nessuno ha mai ottenuto la nomination
senza essersi aggiudicato almeno una delle prime tre primarie e gli unici ad
averlo fatto siamo Trump ed io". Cruz ha pure detto: "Non vedo l'ora
di tornare a casa in Texas", dove si vota martedì.
Trump, invece, ha avuto toni trionfali: "Abbiamo vinto
il 46% dei voti degli ispanici" in Nevada, “abbiamo vinto anche tra gli
evangelici, tra i giovani, tra le persone istruite e quelle non istruite.
Abbiamo vinto tutto. E' stata una notte eccezionale: stiamo andando nella giusta
direzione … Amo gli ispanici e amo il Messico, ma costruiremo il muro". (gp)
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