Scritto per Il Fatto Quotidiano del 19/02/2016 e ripreso da www.GpNewsUsa2016.eu
Uno slalom elettorale tra Cuba e l’Iran, tra la nomina
del successore del giudice Scalia e le angosce da rigurgiti di razzismo dei
neri d’America: un percorso impegnativo, per il presidente Obama, che affronta
da ‘anitra zoppa’ l’ultimo anno del suo doppio mandato, con il Congresso tutto
contro, perché l’opposizione repubblicana ha la maggioranza sia alla Camera che
al Senato. Per di più, Obama deve fare l’equilibrista fra i candidati
democratici alla sua successione: conosce meglio Hillary Clinton – ammette -,
ma riceve alla Casa Bianca anche Bernie Sanders e giudica il dibattito fra i
due “salutare” per il partito. Non misura le parole, invece, nei confronti di
Donald Trump, che resta in testa alla corsa fra i repubblicani: “Non sarà mai
presidente”, dice, perché la presidenza “non è uno show, è una cosa seria”.
Nonostante le manovre di sbarramento dei repubblicani,
il presidente non ha intenzione di chiudersi a testuggine alla Casa Bianca; e
annuncia il viaggio a Cuba, largamente preventivato, a otto mesi dalla fine del
gelo e dalla ripresa delle relazioni. Il 21 marzo, giungerà all’Avana, vedrà
Raul Castro e pure membri della società civile”, imprenditori e dissidenti – la
formula ufficiale recita “cubani con diverse esperienze di vita” -. La visita servirà
“a rafforzare i progressi verso la normalizzazione delle relazioni con Cuba, a far
avanzare i legami commerciali e quelli tra i popoli che possono migliorare il
benessere dei cubani e ad esprimere il sostegno Usa ai diritti umani".
Sarà la prima volta di un presidente degli Stati Uniti
a Cuba in quasi 90 anni: l’ultimo, e pure l’unico, fu Calvin Coolidge nel 1928,
prima della Grande Depressione, della Seconda Guerra Mondiale, di oltre 50 anni
senza dialogo tra l’Avana e Washington. "Questa visita storica – afferma
la Casa Bianca - è un'altra dimostrazione dell'impegno del presidente a
tracciare un nuovo corso delle relazioni bilaterali e a collegare i cittadini
americani e cubani tramite l'espansione dei viaggi, degli scambi e dell'accesso
all'informazione". Lunedì, sono ripresi i collegamenti aerei; e sono stati
appena avviati colloqui per incentivare gli scambi.
L’annuncio fa sussultare gli aspiranti alla nomination
repubblicana, e alla successione di Obama: specie Ted Cruz, senatore del Texas,
nato in Canada a Calgary da padre cubano e madre americana, e Marco Rubio,
senatore della Florida, nato a Miami, ma figlio di una coppia di esuli cubani.
Non mostra, invece, ostilità Jeb Bush, l’ex governatore della Florida, moglie
‘latina’, ma messicana.
Al presidente, Cruz e Rubio e, in genere, i
conservatori contestano che Cuba resta una dittatura, che la ripresa delle
relazioni non ha coinciso con una significativa liberalizzazione della società
cubana. Obama replica: “Solleverò direttamente la questione delle differenze
che resrano”. Ma il Congresso conserva strumenti per frenare la normalizzazione
dei rapporti con l’isola, come per rallentare quella con l’Iran dopo l’accordo
sul nucleare dello scorso autunno.
Il presidente andrà pure in Vietnam a maggio per la
prima volta. Si direbbe quasi che Obama stia accumulando i dossier di cui
discutere – c’è pure la riforma dell’immigrazione -, per avere più opzioni su
cui mediare. In tal senso, l’improvvisa scomparsa del giudice Scalia aggiunge
una tessera al mosaico del negoziato.
Al di là delle sortite propagandistiche dei candidati
repubblicani, è palese che il presidente ha diritto di designare un successore di
Scalia e di sottoporlo alla conferma del Senato: Bush glielo riconosce e il
guru nero Ben Carson, uomo di poche parole e spesso banali, questa volta ci
azzecca, “Se fossi io il presidente, il nuovo giudice lo designerei di sicuro”.
Obama non vuole strafare e non punta a sostituire il conservatore, e
rispettato, italo-americano Scalia con una icona della diversità ‘liberal’:
prospetta la scelta di una persona qualificata, brillante, competente –fin qui,
tutti d’accordo- e avvia contatti con il Senato.
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