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lunedì 8 febbraio 2016

Media: Ue, essere influenti, parlare inglese, pensare europeo

Scritto per gli Appunti del blog di Media Duemila lo 05/02/2016

La fonte è affidabile; e il dato è magari scontato, ma non per questo è meno deprimente: nella lista dei media, nuovi o tradizionali, più letti e più influenti a Bruxelles, hanno spazio soltanto quelli scritti in inglese. Lo dice una ricerca condotta da due importanti e ben note agenzie attive nel campo della comunicazione, la ComRes e la Burson-Marsteller,

Il Financial Times è il media più influente fra chi a Bruxelles prende le decisioni e contribuisce a formare le opinioni pubbliche, mentre Bbc e Politico, un sito ‘made in Usa’ da poco affacciatosi sulla scena europea, sono le fonti più consultate. Ai primo posti troviamo pure il portale d’informazione europea EurActiv e il settimanale The Economist. Fra i social media, Facebook è preferito a Twitter e a tutti gli altri.

I risultati della ricerca non stupiscono e, anche per questo, appaiono credibile: logico che, in una comunità di decine di migliaia di eurocrati, diplomatici, lobbisti provenienti da decine di Paesi diversi, i media che utilizzano una lingua veicolare siano più diffusi e utilizzati e ‘ascoltati’ di quelli che utilizzano una lingua nazionale.

E se siamo della scuola ‘mal comune mezzo gaudio’ possiamo consolarci con il fatto che in quella classifica non mancano solo i media italiani: non vi sono neppure Le Monde, o Der Spiegel, o El Pais, testate leader in Francia, Germania, Spagna; né c’è il Wall Street Journal Europe, ‘cavallo di Troia’ del business statunitense nell’Ue.

Ma invece che andare a caccia di premi di consolazione sarebbe meglio correre ai ripari: perché il problema non è di bandiera, ma di approccio. Il Financial Times, Politico, EurActiv sono media scritti in inglese, ma non sono media inglesi – il Financial Times ha ormai da decenni una dimensione internazionale che va ben oltre le sue origini-. Essere influenti oggi, in Europa e nel Mondo, comporta la capacità di esprimersi in inglese, ma comporta, a monte, la capacità di non pensare in termini nazionali o – peggio ancora - di giochi di potere nazionali.

Quella comunità bruxellese è il nucleo, magari al momento elitario, d’un’opinione pubblica europea la cui nascita è stata finora preclusa proprio dalle barriere linguistiche. Se le si vuole parlare, bisogna sì esprimersi in inglese, ma bisogna pensare europeo. A noi italiani, di questi tempi, riesce persino meglio la prima cosa della seconda.

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