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venerdì 26 febbraio 2016

Usa 2016: Trump, un candidato in totale simbiosi con i social media

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/02/2016 e ripreso da www.GpNewsUsa2016.eu

Non c’è giorno di questa infinita campagna elettorale, che dura da otto mesi e che altri otto durerà, che un tweet di Donald Trump non faccia notizia, susciti polemiche, desti scandalo, faccia discutere, sia ‘ritwittato’ a catena. E i media tradizionali, per quel che ancora contano, abituati a subire l’avanzata del nuovo, se ne fanno megafono: come vent’anni fa inseguivano l’ultima battuta televisiva, oggi vivono di riflessi dei ‘social’.

Non è chiaro se i tweet di Trump escano proprio come sono le sue frasi o se le sue frasi siano prima pensate come tweet. Ma la simbiosi è totale.

L’ultima battuta, divenuta virale, il battistrada nella corsa alla nomination repubblicana l’ha detta dopo il largo successo, martedì notte, nelle assemblee del Nevada: “I love the poorly educated”, amo gli ignoranti (che, del resto, lo ricambiano). E ha innescato il solito dibattito tra chi se ne sente offeso - anche se, stavolta, i termini usati, se non proprio il concetto espresso, erano politicamente corretti - e chi invece accusa chi s’offende per porre le parole fuori del contesto. Che era quello d’un discorso della vittoria: "Abbiamo conquistato i giovani, abbiamo conquistato gli anziani, abbiamo conquistato le persone con un'alta educazione, abbiamo conquistato gli ignoranti. Io amo gli ignoranti", ha scandito il magnate dell’immobiliare. Che avrebbe pure conquistato, a forza d’insulti e minacce, i ‘latinos’: in Nevada, quasi la metà di quelli che votano repubblicano sarebbero dalla sua.

Quel suo “Io amo gli ignoranti”, sbarcato su twitter, è stato rilanciato, citato, contestato freneticamente: 15 volte al minuto, secondo operatori che monitorano i social media. Sono pure comparsi utenti di twitter che si autoproclamano "poorly educated", ma che non amano lo showman perché lo ritengono una minaccia o un motivo di forte imbarazzo per gli Stati Uniti.

David Waywell, un giornalista britannico che segue la campagna di Trump su Youtube e twitter, accompagnandolo ovunque senza mai allontanarsi dalla propria scrivania o dalla propria poltrona – tutti gli eventi sono online live -, analizzava, ieri,  come Trump, che non è un ragazzino (69 anni, uno in più di Hillary Clinton), abbia saputo usare i social media molto meglio di tutti i suoi rivali e pure meglio di quanto non fece nel 2008 Barack Obama, che fu però maestro finora ineguagliato nella raccolta di fondi online – ma Trump di misurarsi su questo terreno non ha bisogno -.

Quello che contraddistingue i tweet di Trump è il carattere tagliente, insolente, sanguigno, eccessivo, talora offensivo o insultante. Tutto il contrario dei tweet di Hillary che sono precisi, quadrati, composti, ricchi di contenuto, talora pure ironici, ma sostanzialmente noiosi, se confrontati con quelli di Donald. Tutto nella campagna di Trump è concepito a misura di tweet, pure gli slogan, a cominciare da “Rifaremo grande l’America”, “Vivi libero o muori”, “Leadership competente”; e persino le battute sui palchi dei comizi o dei dibattiti in diretta televisiva, dove fa valere l’esperienza di showman: le battutacce che hanno ‘azzerato’ Jeb Bush, i messicani “delinquenti e stupratori”, le giornaliste impertinenti “che hanno il sangue agli occhi e non solo”.

La campagna di Trump ha avuto, fin dall’inizio, una copertura mediatica sproporzionata, almeno rispetto a quelle degli altri candidati: in campo repubblicano, anche quando i candidati erano ancora una quindicina, lo showman assorbiva da solo un quarto e più delle informazioni. I centri studi che hanno analizzato questo fenomeno, vedono un meccanismo di reciproco rilancio: l’elevata copertura mediatica genera indici di gradimento alti nei sondaggi, che a loro volta innescava ulteriore copertura mediatica. Vale negli Usa, ma vale un po’ ovunque nel Mondo: in Italia, i titoli su Trump, o le informazioni che lo riguardano, sono 10 volte più numerose di quelle sui suoi rivali; e, come livello di popolarità, inteso come conoscenza da parte del pubblico, solo Hillary Clinton gli tiene testa. Ma Hillary non gode, nei confronti del suo rivale Bernie Sanders, dello stesso vantaggio mediatico che Trump ha sui suoi antagonisti. E, poi, fa tweet meno divertenti.

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