Non c’è giorno di questa infinita campagna elettorale, che dura da otto mesi e che altri otto durerà, che un tweet di Donald Trump non faccia notizia, susciti polemiche, desti scandalo, faccia discutere, sia ‘ritwittato’ a catena. E i media tradizionali, per quel che ancora contano, abituati a subire l’avanzata del nuovo, se ne fanno megafono: come vent’anni fa inseguivano l’ultima battuta televisiva, oggi vivono di riflessi dei ‘social’.
Non è chiaro se
i tweet di Trump escano proprio come sono le sue frasi o se le sue frasi siano prima
pensate come tweet. Ma la simbiosi è totale.
L’ultima
battuta, divenuta virale, il battistrada nella corsa alla nomination
repubblicana l’ha detta dopo il largo successo, martedì notte, nelle assemblee
del Nevada: “I love the poorly educated”, amo gli ignoranti (che, del resto, lo
ricambiano). E ha innescato il solito dibattito tra chi se ne sente offeso -
anche se, stavolta, i termini usati, se non proprio il concetto espresso, erano
politicamente corretti - e chi invece accusa chi s’offende per porre le parole
fuori del contesto. Che era quello d’un discorso della vittoria: "Abbiamo
conquistato i giovani, abbiamo conquistato gli anziani, abbiamo conquistato le
persone con un'alta educazione, abbiamo conquistato gli ignoranti. Io amo gli
ignoranti", ha scandito il magnate dell’immobiliare. Che avrebbe pure
conquistato, a forza d’insulti e minacce, i ‘latinos’: in Nevada, quasi la metà
di quelli che votano repubblicano sarebbero dalla sua.
Quel suo “Io amo
gli ignoranti”, sbarcato su twitter, è stato rilanciato, citato, contestato
freneticamente: 15 volte al minuto, secondo operatori che monitorano i social
media. Sono pure comparsi utenti di twitter che si autoproclamano "poorly
educated", ma che non amano lo showman perché lo ritengono una minaccia o
un motivo di forte imbarazzo per gli Stati Uniti.
David Waywell,
un giornalista britannico che segue la campagna di Trump su Youtube e twitter,
accompagnandolo ovunque senza mai allontanarsi dalla propria scrivania o dalla
propria poltrona – tutti gli eventi sono online live -, analizzava, ieri, come Trump, che non è un ragazzino (69 anni,
uno in più di Hillary Clinton), abbia saputo usare i social media molto meglio
di tutti i suoi rivali e pure meglio di quanto non fece nel 2008 Barack Obama,
che fu però maestro finora ineguagliato nella raccolta di fondi online – ma
Trump di misurarsi su questo terreno non ha bisogno -.
Quello che
contraddistingue i tweet di Trump è il carattere tagliente, insolente, sanguigno,
eccessivo, talora offensivo o insultante. Tutto il contrario dei tweet di
Hillary che sono precisi, quadrati, composti, ricchi di contenuto, talora pure
ironici, ma sostanzialmente noiosi, se confrontati con quelli di Donald. Tutto
nella campagna di Trump è concepito a misura di tweet, pure gli slogan, a
cominciare da “Rifaremo grande l’America”, “Vivi libero o muori”, “Leadership
competente”; e persino le battute sui palchi dei comizi o dei dibattiti in
diretta televisiva, dove fa valere l’esperienza di showman: le battutacce che
hanno ‘azzerato’ Jeb Bush, i messicani “delinquenti e stupratori”, le
giornaliste impertinenti “che hanno il sangue agli occhi e non solo”.
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