Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/02/2015
E’ un classico: i ‘cessate-il-fuoco’ vanno fatti e non
annunciati; ché, se li annunci prima di farli, poi sul terreno si scatena il
finimondo. Tutti vogliono conquistare, o difendere, le postazioni migliori,
così da negoziare dopo in posizione di forza. E’ esattamente quel che accade in
Siria in queste ore: subito dopo l’annuncio d’un’intesa a Monaco tra Usa e
Russia per una tregua la prossima settimana, si sono mossi tutti. E la
situazione, invece di migliorare, è peggiorata.
Anche il clima tra Usa e Russia è peggiorato, perché
ciascuno tiene bordone si suoi alleati: Mosca bada a sostenere il regime di
Assad; Washington cerca di dare soddisfazione a Riad e ad Ankara, che di Assad
sono nemici. Ma non c’è un solo protagonista di questa vicenda che non sia
strabico: sulla carta, tutti, che si richiamino all'alleanza occidentale, o a
quella araba, o all’intesa operativa tra Russia, Iran e regime siriano,
dovrebbero soprattutto essere impegnati a combattere il Califfo ed i suoi
accoliti; e, invece, ciascuno ha una priorità ben precisa – e diversa - in
testa. E c’è chi, come la Turchia, ne ha un sacco di obiettivi: contenere i
curdi entro e fuori le sue frontiere, estromettere dal potere Assad; frenare il
flusso dei rifugiati dalla Surua; la lotta agli jihadisti è in fondo alla lista
– anzi, Ankara ci fa affari -.
A Monaco, dove la riunione del Gruppo di Sostegno alla
Siria cede il posto all'annuale simposio sulla sicurezza, arriva il premier
russo Medvedev, che, quanto a fermezza, sembra Putin: respinge l’accusa di
bombardamenti indiscriminati con vittime civili (“Non ce n’è prova”, dice). E un
altro premier, il francese Valls, desta apprensione, avvertendo che vi saranno
in Europa altri attentati devastanti come quelli del 12 novembre a Parigi, “la
guerra al terrorismo sarà lunga”, avverte, soprattutto se la conduciamo
‘vincoli e sparpagliati’ come ora.
Medvedev parla di una nuova “guerra fredda”,
riferendosi soprattutto alle relazioni tra Russia ed Europa, e definisce una "svolta
errata" le dichiarazioni del segretario di Stato Usa Kerry favorevoli all’invio
di truppe di terra in Siria da parte saudita e turca: "Siamo – dice - all’inizio
dei negoziati (sulla transizione, che devono riprendere a fine mese, ndr) e la
situazione è leggermente migliore rispetto ad alcuni giorni fa … Noi russi lavoreremo
ad attuare le misure di pace. Dobbiamo però ascoltare le rispettive posizioni e
se si sostiene che, se noi non facciamo qualcosa, allora si rischia
l’operazione terrestre è una svolta errata … Non possiamo permetterci un altro
Afghanistan", un brutto ricordo sia per i russi che per gli americani, che
non ne sono ancora fuori.
I responsabili degli Esteri Usa e russo Kerry e Lavrov
tornano a vedersi: i toni non sono esasperati, ma sono più tesi del giorno
prima. Kerry chiede a Damasco, ma è un po’ come chiederlo a Mosca, di
rispettare i patti “o la comunità internazionale si muoverà”. I russi
spediscono nel Mediterraneo una nuova corvetta lancia-missili. Gli americani li
sollecitano a sospendere i raid sulle postazioni dei ribelli ed a cambiare gli
obiettivi degli attacchi; loro replicano che sono stati i ribelli anti-Assad a
violare gli accordi, che venerdì, del resto, non avevano voluto avallare.
La Turchia fa sapere di essere pronta a condurre
operazioni di terra in Siria con l’Arabia saudita, che ha deciso d’inviare
soldati contro gli jihadisti, e mette a disposizione degli aerei sauditi la
base di Incirlik. Ma la tenaglia sunnita tra Ankara e Riad è una minaccia
soprattutto per il regime siriano ed è una provazione per i suoi alleati,
l’Iran e gli Hezbollah, sciiti.
Ed a provare, una volta di più, che l’agenda turca è
strettamente nazionale, le forze di Ankara bombardano settori di territorio
controllati dall’organizzazione militare dei curdi siriani, sentita come una vera
minaccia, oltre alla decine di migliaia di rifugiati che ancora premono alla
frontiera. Colpi di artiglieria turca cadono su una base curda e su settori di
Aleppo occupati dai curdi.
Dal terreno, le notizie sono come sempre frammentarie. Un’imboscata di “islamisti” fa almeno 76 vittime fra le forze lealiste. E gli specialisti dell’Onu confermano che, nel conflitto siriano, le armi chimiche, che dovrebbero essere state tutte trasferite altrove, sono state usate in almeno cinque occasioni.
Dal terreno, le notizie sono come sempre frammentarie. Un’imboscata di “islamisti” fa almeno 76 vittime fra le forze lealiste. E gli specialisti dell’Onu confermano che, nel conflitto siriano, le armi chimiche, che dovrebbero essere state tutte trasferite altrove, sono state usate in almeno cinque occasioni.
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